La raccolta dell’agave: una lunga attesa per il cuore della pianta che sarà poi il cuore dello spirito.
¡ARRIBA EL MEZCAL!
Il nostro “Affabulatore alcolico“, dopo una intro (prologo) “alternativa” iniziale, ha iniziato a raccontarci in vari episodi l’antica storia del Mezcal.
[si legge, più o meno, in: 4 minuti]
Dalla civiltà azteca ai conquistadores europei, dall’aguamiel al pulque… la nascita e la diffusione del distillato più rappresentativo del Messico e più antico delle Americhe vive di leggende remote e sapore contemporaneo grazie alla pianta preziosa da cui tutto si genera: el maguey o l’agave.
Mauro Bonutti ci ha già fatto scoprire buona parte delle sue peculiarità (anche extra-alcoliche) portando alcuni esempi sulle varietà principali e le loro prerogative per la distillazione e l’assaggio.
Non avevamo però ancora trattato di raccolta e di come il cuore dell’agave diventa poi il cuore del mezcal che esce dall’alambicco. Lo facciamo adesso e al termine vi proponiamo anche un assaggio. Buona lettura.
[la redazione]
Mezcal, alla scoperta dell’agave: la raccolta
Ricordate dove eravamo rimasti…? Un ultima “rinfrescata”, se volete, a questo link e procediamo con lo stesso metodo, la medesima colonna sonora, entrando nuovamente in modalità Superquark e scusandoci (ancora e simpaticamente con Angela) per il paragone irriverente…
La pianta quindi si coltiva, si cura, si attende (con molta pazienza) e, finalmente, se ne raccoglie il frutto.
La raccolta
Se lo scopo è quello della distillazione, la raccolta avviene nel momento in cui le piante hanno raggiunto la loro massima espressione energetica e quindi contengono la maggiore concentrazione zuccherina. Corrisponde al momento in cui tutta la energia/zuccheri viene destinata alla crescita del quiote, del fiore.
Le tecniche sono varie, in base a tradizioni famigliari tramandate più che a studi scientifici. Tutto si basa su aspetti ancestrali, antropologici, a volte irrazionali, che fanno sì che ogni piccolo palenque pur a partire da tipi di agavi simili e cresciuta a poca distanza dai vicini ottiene risultati differenti. Solo andando alla scoperta di questi piccoli, singoli, universi, si possono cogliere le sfumature che fanno diventare passione la degustazione di ogni prodotto.
Talvolta viene praticata una castrazione della pianta controllata, tagliando la parte dove comincia a crescere il fiore, per mantenere maggiore contenuto zuccherino (e se non si ha bisogno dei semi prodotti dai fiori) e lasciato poi dai 9 ai 12 mesi a completare la maturazione. Abbiamo già detto: non è la scienza ma la storia personale che detta la linea.
Si arriva così finalmente al momento più atteso e più importante, quello che diventa sempre una festa, così come, ad esempio, è ogni vendemmia. Il processo di raccolta parte con la eliminazione delle foglie, lasciando così libera solo la pigna, il cuore della pianta. Le procedure utilizzate sono simili ma con molte diversificazioni, che dipendono soprattutto dalla alla forma vegetativa della specie interessata. Per togliere le foglie si può utilizzare un machete o una piccola pala tagliente denominata coa. Le figure dei “tagliatori” sono professionalità molto particolari, frutto di lunghi anni di esperienza, tramandate di generazione in generazione.
Qualunque sia la prassi, lo scopo è quello di “liberare” il cuore, la pigna, che è la base dei passaggi successivi. Pigne che vengono eventualmente spaccate in due o quattro parti per poter facilitare il trasporto in azienda dove avverrà il resto della lavorazione.
Trattasi di operatività che risulta relativamente semplice nel caso delle coltivazioni, ma che si complica decisamente nel momento in cui ci si inoltra sulla via dei maguey silvestri, selvatici, meno diffusi e soprattutto più difficili da raggiungere, oltre che più complicate da gestire per garantire l’equilibrio e la sostenibilità ambientale delle specie. La fatica è però compensata dal risultato finale, perché sono piante ricercate e desiderate per la ricchezza e complessità del loro bouquet di sentori e sapori.
Qui entra in gioco la componente più avventurosa, i nostri novelli Indiana Jones devono superare ardui percorsi per il raggiungimento delle zone selvagge (o parzialmente coltivate nei limiti del possibile) dove si trovano queste piante. Si devono faticosamente attraversare lunghe e nascoste strade sperdute, scoscese, assolate, in mezzo a boschi o rocce, spesso senza la possibilità di utilizzare veicoli, per cui bisogna ingegnarsi con l’utilizzo di animali o facendo direttamente rotolare le pigne verso punti più facilmente gestibili.
Fino a che, alla fine, tutto questo ben di Dio arriva in fattoria, in palenque dove potrà avere inizio il vero lavoro di produzione del nostro prezioso distillato.
Ma questo sarà un altro nuovo capitolo del nostro viaggio verso la conoscenza del Mezcal. Per adesso, il piccolo Angela e la nostra puntata di “Superquark” si fermano qui. Giusto fare una pausa e mettersi finalmente a bere qualcosa per sedimentare e approfondire.
Un assaggio di Mezcal
Montelobos espadin Mezcal
Avevamo già recensito un paio di prodotti nei capitoli precedenti, si dice sempre che: “non c’è due senza tre”, per cui proseguiamo il nostro apprendistato degustativo ma, quantomeno, con un prodotto diverso e scelto tra quanto facilmente reperibile, in modo da facilitare i confronti e crearci una sorta di database a riferimento.
Rimaniamo sempre nello stato di Oaxaca, dove in effetti c’è la maggior parte della produzione di Mezcal, e rimaniamo sempre nella solita specie di pianta, Espadin, che abbiamo capito essere il più diffuso e quindi più facilmente ritrovabile tra tutte le bottiglie in circolazione.
Prodotto certificato artigianale, biologico e anche kosher, con agavi provenienti dalle coltivazioni di due piccole famiglie storiche, che da generazioni provvedono alla cura completamente manuale dei loro campi e delle loro piante.
Prodotto veramente classico, tradizionale, nel rispetto di quelli che sono i canoni storici del Mezcal, quindi dai decisi sentori affumicati che subito arrivano al naso, senza troppe mediazioni a mitigarli come la modernità tende a proporre. Sentori dolciastri da barbecue che si sprigionano poi anche in bocca, con intense ondate verdi, vegetali, quasi amarotiche da asparago o da carciofo, ma sempre piacevole e molto, molto intenso. Verdure alla griglia potremmo definire con un minimo di esagerazione. Il finale è abbastanza lungo, caldo, avvolgente, solforoso e sapido, che lascia soddisfatti e spinge ad un altro piccolo sorso, con il leggero tic alcolico dei 43 gradi che da pienezza.
Non siamo ancora agli apici della complessità ma sempre una bevuta che dà piena soddisfazione.
fonte: Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal
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