L’aperitivo alcolico: il compagno fedele

Attendendo il futuro no-lo, l’aperitivo alcolico rimane una certezza di tradizione antica, piacere e stile contemporaneo.

MODERNO VINTAGE
Collage di emozioni


Quanti anni hai? Generazione Z, Y, X o (baby) boomer? Conosci quel lieve sapore che sa riaccendere le sensazioni di un tempo andato ma non proprio scomparso?


[si legge, più o meno, in: 6 minuti]

In un’epoca di continui cambiamenti, di trasformazioni e generazioni che si accavallano nell’arco di un lustro, l’ispirazione degli artisti arriva spesso ripescando dal recente passato. Questo accade per l’arte figurativa ma anche per quella letteraria, quella musicale o anche, banalmente, per quella del vestire.

La modernità, oggi più che mai, impone la conoscenza e la consapevolezza di un passato che, per quanto superato, rimane affascinante e non solo per chi lo ha vissuto in prima persona.

Ecco perché la nostra nuova rubrica Moderno Vintage vi stuzzicherà, ne siamo certi, indipendentemente dalla vostra età. Sarà un collage di esperienze vissute e di sensazioni narrate che trasporranno e contestualizzeranno lo ieri all’oggi e viceversa in chiave beverage.

Come per il primo articolo, vi seguirà Cristina Laziosi: donna, artista creativa e di esperienza che con i suoi flashback and return saprà regalare piccoli scampoli di emozioni sia per chi quegli anni se li è goduti e bevuti, sia per chi li ha sentiti solo raccontare e, con un sorriso, li ritiene ormai desueti ma facenti comunque parte del costume italiano e dell’ispirazione attuale.

Sapete cosa ci piace… la bevanda sicuramente, ma soprattutto, tutto ciò che sa stare oltre il calice.

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foto: Rafael Santos

Precisiamo: no spot, keep calm and drink responsibly!

Prima di iniziare, come sempre una doverosa ma essenziale precisazione: in questi articoli troverete svariati riferimenti a prodotti esistiti e, magari, ancora presenti sul mercato. Lo diciamo subito e fermamente che non si tratta in alcun modo di pubblicità (né manifesta, né occulta), ma banalmente di inevitabili citazioni per quei marchi o prodotti che hanno saputo fare la storia della società italiana e che meritano per questo una chiara menzione.

Chiunque si senta in dovere di muoverci osservazioni (anche da parte degli stessi brand interessati) è pregato di segnalarlo tempestivamente a: redazione@spiritoitaliano.net.

Siamo una testata online, di interesse pubblico e ci affidiamo al diritto di cronaca. La nostra missione rimane però quella principale di divulgare, informare e divertire i nostri lettori. Se accadesse il contrario, saremmo i primi a esserne rammaricati e a cercare la giusta soluzione per essere sempre… quelli che siamo.

Quindi niente spot e proseguiamo con il nostro “Moderno vintage”, rimanendo sul tema aperitivo ma… con grado e tanta tradizione. Buona lettura e serena Pasqua!

[la redazione]

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foto: DeeJay Sanks SA

L’aperitivo alcolico: il compagno fedele

L’aperitivo alcolico, pur nei diversi colori di costume, è da sempre un “amico” ideale, il fedele compagno di un buon tempo.

Se pensate che l’aperitivo alcolico sia sempre stato, nella sostanza e nella forma, come lo conosciamo oggi, allora date un’occhiatina a questo articolo in cui cercheremo brevemente di trovare le differenze tra l’aperitivo alcolico della tradizione e quello in voga ai giorni nostri.

Oggi l’aperitivo alcolico non è più come un tempo: un bicchierino di liquore che “apre” lo stomaco prima di un pasto. La tendenza è cambiata nei modi, nel gusto e anche in questi ultimi trent’anni le interpretazioni sono cambiate sulla scia di mode che da nord sono scese verso sud ma che dal sud sono state contaminate di sapori e generosità.

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credits: Anil Sharma

Il 2020 ha cambiato un po’ anche lui, ma in molti locali l’apericena ancora oggi è visto come alternativa a una cena easy grazie ai sofisticati drink abbinati a numerosi stuzzichini, formaggi e salumi o ancora pietanze spesso servite a buffet. Fuori dai pasti classici, soprattutto nei fine settimana, un rito che inizia nel tardo pomeriggio e può addirittura terminare in nottata.

Sappiamo che, da oltre vent’anni, il successo dell’apericena è derivato da più fattori, da quello economico a quello sociale, sicuramente stiamo oggi assistendo a un downgrade quantitativo mangereccio per privilegiare l’upgrade qualitativo sul bere (ammesso che i vari bar ci riescano).

L’aperitivo più semplice e più classico, quello che solitamente non supera le 20.00 durante la settimana di lavoro, mette al centro la bevanda alcolica (magari bollicina o un ottimo cocktail) assaggiata necessariamente in accompagnamento a qualche gradevole stuzzichino per stimolare l’appetito e a predisporci alla tavola.

Detto questo, facciamo un breve excursus per capire come siamo arrivati a concepire in tal modo l’aperitivo…

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Ugo Mulas, Bar Jamaica nei vicoli del quartiere Brera di Milano, 1955, fotografia (CC0)


Chi dice aperitivo…

Chi dice aperitivo dice Italia! Nell’articolo precedente raccontammo di aperitivi analcolici nel Belpaese ma tutti hanno ben chiaro di quanto siamo un riferimento nel mondo per il buon bere con gradazione: per i nostri vini, liquori, amari, distillati e oggi anche birre.

L’aperitivo è un grande classico della nostra cultura, un rituale che nel corso dei secoli ha tuttavia modificato carattere e stile, passando da rimedio terapeutico ad abitudine popolare pre-cena o addirittura a sostituzione del pasto serale. Tutto ciò di pari passo ai radicali cambiamenti storici, economici e politici della nostra società – ergo – delle abitudini dei consumatori. Passaggi che sono diventati particolarmente significativi dal secondo dopoguerra a oggi, decenni che lo hanno visto trasformarsi unicamente nel binomio gusto-divertimento.

Nella Grecia di 2000 anni fa, l’eccelso medico Ippocrate che raccomandava “Lascia che il cibo sia la tua medicina”, s’inventò la prima bevanda aperitivo della storia: il vinum Hippocraticum, un vino bianco aromatizzato con assenzio e altre erbe.

Dal medioevo sono arrivati a noi i famosi elixir dei monaci, esperti coltivatori e conoscitori delle erbe e dell’arte della distillazione, ma è la nascita del vermouth di Antonio Benedetto Carpano, nella Torino del 1786, che segna l’inizio dell’attuale concetto di aperitivo.

Quel delizioso vino aromatizzato che conquistò anche il re d’Italia Vittorio Emanuele II, rappresenta la prima vera bevanda da aperitivo paragonabile agli odierni per via del suo gusto e della sua capacità stimolante per l’appetito, tant’è che all’epoca si tendeva a servirne un bicchierino proprio prima dei pasti.

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Édouard Manet, Un bar aux Folies Bergère, 1882, olio su tela, London, Courtauld Gallery (CC0)

Proprio in quell’epoca, dall’altra parte dell’Oceano, è giusto ricordare che l’epico Jerry Thomas stava diventando quel genio oggi considerato come padre putativo della miscelazione, lavorando principalmente con i distillati ma sicuramente ispirando anche molti dei nostri baristi che ebbero all’epoca la fortuna di imbattersi nei clienti viaggiatori per e dall’America.

In Italia, a seguito del vermouth, furono inventate tante altre bevande spiritose da aperitivo, diventate poi icone indimenticabili di struggente emozione, come il Bitter Campari (1860) che ha rappresentato uno fra i simboli dello stile di vita italiano anche nella preparazione di cocktail alla moda (Negroni compreso) per oltre un secolo.

Tutte bevande moderatamente alcoliche che, sull’eco della Dolce vita, riunivano intellettuali, artisti e politici a discutere le loro idee negli ottocenteschi Caffè, dai più tinteggiati di peccato e mistero, romanticismo e realismo, ai più formali e raffinati.

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Mario Gabinio, Torino/Piazza Solferino, 1924, stampa al citrato 168×226, Fondazione Torino Musei
(modifica su lic. CC BY 3.0 IT)

In tale trasformazione di cultura e costume, l’antica tradizione monastica è sempre rimasta un riferimento con le innumerevoli ricette di elixir e amari medicinali, bevande che nella società laica sono state riprese da aziende vocate al commercio massivo.

Nella seconda parte del XX secolo, il mass-marketing di amari e liquori italiani si è poi infatti impossessato della pubblicità, vantando soprattutto le proprietà benefiche delle erbe. Una sfilza di bevande alcoliche impossibile da ricordare integralmente, ma un elenco in cui, fatta un po’ di mente locale, “una” (realmente) “tira l’altra”:

  • Il Biancosarti, “l’amaro vigoroso” del “Tenente Sheridan”, ideato negli anni ‘50, diventa celebre grazie alla pubblicità proprio negli anni ‘70 e ‘80;
  • il Riccadonna, che fa parte della tradizione dei vermouth;
  • “l’originale alternativo” era il Punt e Mes, il cui slogan recitava “un punto di dolce e mezzo di amaro”;
  • il Rabarbaro Zucca, creato da Ettore Zucca nel 1845, aperitivo e digestivo estratto dalla pianta del rabarbaro;
  • il Cynar, liquore al carciofo, tra i più famosi degli anni ‘70, che nello spot pubblicitario ben rispecchiò gli effetti del “Miracolo economico” e che i bartender di oggi offrono come sperimentazione per i loro cocktail;
  • il Kambusa, con lo stravagante aggettivo “l’amaricante”, che significava dal gusto amaro, mentre…
  • l’Amaro Cora era “l’amarevole”;
  • “sopra tutto Fernet Branca”, con la potente aquila che sovrasta il mondo o che porta il liquore direttamente a casa, composto da 27 erbe, spezie e radici da quattro continenti;
  • “Brrr… Brancamenta” sussurrava una voce femminile nello spot, mentre una mano scalpellava del ghiaccio, un liquore rigorosamente da tenere in frigorifero e bevuto con una fogliolina di menta;
  • il Grand Marnier, unico e insostituibile in ogni tempo.

Che dire ancora? L’elenco è vasto per menzionare tutte le celeberrime etichette.


Lo splendore di quei liquori vintage, dimenticati e poi magari rivalutati dai nostri stravaganti specialisti del bancone, riluceva negli anni ‘70 e inizio ‘80 con la pubblicità artefice essenziale del successo di molte etichette che incontrarono le aspettative dei bevitori italiani.

Sono anni che sembrano lontani (non così troppo per chi li ha vissuti): anni che precedettero la grande cultura della mixology e dei bartender, quando si ascoltavano i Bee Gees e nella moda del bere miscelato aveva prevalenza la dolcezza. Le Istituzioni, poi, non avevano tutto quello scrupolo per la salute pubblica e quindi di fatto non esistevano regole restrittive.

Arrivarono poi i tempi di Rocky, della Milano da bere che si aperitivizzava con il Negroni sbagliato, di via Montenapoleone, delle top-model e dei baristi scatenati che lanciavano in aria bottiglie e oggetti ammaliati dal film “Cocktail” con Tom Cruise.

La Milano da Bere – Teche RAI – Milano Vintage TV

Possiamo certamente dire che, fra i tanti, ha fatto sicuramente la storia anche il milanese Amaro Ramazzotti. Nato nel 1815, proposto come gli altri a fine pasto, ebbe un ruolo essenziale anche fra la categoria degli aperitivi sebbene vide il suo vero boom concretizzarsi solamente nel secondo dopoguerra, in quell’epoca vissuta felicemente durante la massiccia industrializzazione con tanto di picco economico e voglia di svago. Chi ha qualche “anno sulle spalle” non può aver certamente scordato lo spot (da brividi, nel video sopra Teche RAI, minuto 1.55) tutto legato al piacere ambrosiano in piena epoca yuppie e rampantismo.

Negli anni ‘80-‘90 del XX secolo si assiste a un cambio drastico del contesto sociale, e… sempre da Milano, prende vita l’happy hour sull’onda dell’happy hour americano.

La lista di bevande si allunga, comprendendo anche molti cocktail, tra i quali l’amato Spritz che inizia la scalata al successo dagli anni ‘70, oltre alle birre, assieme ai fedeli Martini dry e Campari. Accompagnato da un ricco buffet, ecco che l’aperitivo alcolico fa successo in molti locali come protagonista dell’apericena.

L’inventore dell’apericena pare sia stato l’imprenditore milanese Vinicio Valdo a metà degli anni ‘90, che ebbe l’idea di imbandire un buffet per attrarre più clienti in quello che poi divenne il cosiddetto “aperitivo alla milanese”, l’attuale apericena.


Tirando le somme, possiamo affermare che i valori della tradizione e della famiglia abbiano segnato il tempo della storia italiana dell’alcolico. Sino a una quarantina di anni fa si beveva soprattutto in famiglia, moderatamente e tutti i giorni.

Secondo la nostra cultura – detta “bagnata” -, un buon vino a tavola esaltava i cibi ed era parte integrante dell’alimentazione stessa, così come un liquore era il momento del prima e dopo i pasti: aperitivo per stimolare l’appetito o digestivo per aiutare a smaltire l’abbondanza della tavola anche perché… all’epoca i commensali si dicevano soddisfatti anche in relazione alla quantità!

Da oltre trent’anni in Italia lo stile dell’aperitivo (alcolico e non) non è più lo stesso. Perdendo l’alcol il valore nutrizionale e alimentare, della tradizione e della famiglia, l’usanza è quella di bere soprattutto fuori dai pasti e l’aperitivo alcolico è interpretato come l’occasione per rilassarsi dopo il lavoro e socializzare, con apertura al dialogo con gli altri, in un ambiente accogliente ove spontaneamente ci possiamo lasciar andare.

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credits: Penny

Oggi, l’aperitivo a un happening, al bancone del bar o seduti ai tavolini godendosi la città illuminata e vivace, è diventato una proposta strutturata all’insegna di semplici gioie della vita fatte di bellezza e di relax aprendosi a tutte le occasioni di spensieratezza e mondanità. Un fenomeno culturale che si è fatto costume nella routine di milioni di persone, in Italia e nel mondo.

Si è anche ridotta la differenza di genere, in quanto è dalle donne che proviene un modo di bere più emozionale. Oggi si è concesso all’aperitivo alcolico di essere il compagno ideale e fedele dei nostri momenti di “liberazione”, ed essendo educati a conoscerne pregi e difetti, lasciamo che sia un’esperienza “gustosa” a tutto tondo, complici la squisitezza delle proposte culinarie che ingegnosi chef si cimentano a creare negli abbinamenti, la musica e l’insostituibile mood della notte.

Della nascita del vermouth a oggi l’evoluzione dell’aperitivo alcolico, così come della nostra società, è stata straordinaria! Vedremo cosa accadrà con l’ascesa sul mercato delle bevande No-Lo.

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Giuliano Gemma, screenshot dal film I giorni dell’ira di Tonino Valerii (CC0)

Una curiosità dal passato

Vi racconto una storia che risale a fine anni 70 per puntualizzare un dettaglio d’arredo dell’epoca correlato ai liquori… Avevo conosciuto Giuliano Gemma, che venne a cena a casa mia. Prima di cena mio padre volle offrire un aperitivo all’ospite – faceva stile! – e si spostarono in salotto, regno di un complemento d’arredo di gran moda a dir poco memorabile, il “mobile bar“.

Già! Quel mobiletto, che poteva essere anche un carrello, conteneva preziose bottiglie di alcolico prodotte in Italia, con colorate etichette, gioia per i collezionisti, pubblicizzate con storie reali o più fantasiose ritmate da gingle mai dimenticati. Indovinate cosa bevvero… Un Biancosarti!

Lo bevvi anch’io, poco perché ero giovanissima, ma mio padre si convinse a farmelo assaggiare! Tradizione e nostalgico sapore hanno reso unici quei liquori dalle centenarie e segrete ricette, tramandate e revisionate generazione dopo generazione e raccontate tra realtà, mito e leggenda a testimonianza della nostra storia nazionale.

Fra i tanti, taluni nascono fatti in casa dalle famiglie italiane, prima di diventare prodotti aziendali, e possiamo ancora trovarli affettuosamente sistemati nella credenza dei nonni, in qualche bar demode e in molti locali contemporanei.

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Spot Carosello Biancosarti con Ubaldo Lay (Tenente Sheridan), anni ’70 (guarda su YT)

Bottiglie dimenticate, sì, ma alcune di esse tornate di moda con un cambio di identità rispetto alla tradizione e consumate non più tanto come aperitivi intesi nella vecchia accezione, ma in un bere miscelato, in drink semplici e dissetanti.

In Italia, meta ambita di turismo enogastronomico, la diversità regionale caratterizza anche l’aperitivo alcolico (soprattutto con amari e gin), il mio suggerimento è quindi quello di scoprire le varie culture e tradizioni per una verace esperienza dei nostri territori che donano, a chi sa coglierla, la ricchezza dalle mille emozioni.

E… ricordatevi di prenotare il locale per degustare il vostro “compagno fedele” perché, dove c’è qualità, il rischio è sempre quello di non trovare posto!

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