Sulla tratta da Parigi a Milano vivendo di Festival. Whisky Live Paris ma non solo: breve storia di un weekend “spiritoso”
Dobbiamo ricordare che le leggi della Natura sono in genere ragionevoli.
E ovunque, per valide ragioni, si può trovare un po’ d’alcol.
C’è alcol nelle piante e negli alberi: dev’essere il piano della Natura, il fatto che debba esserci, in qualche misura, un po’ d’alcol nell’Uomo.
A. P. Herbert (1956)
[si legge, più o meno, in: 6 minuti]
Partiamo da questo pensiero, preso pari pari dal libro di Mark Forsyth: Breve storia dell’ubriachezza (A short history of drunkenness). Libro particolare e interessante per chi vuole avere una interpretazione che, forse, non sarà rigorosamente storica e scientifica ma sicuramente veritiera su cosa ha significato l’alcol nella storia dell’uomo, sempre presente dalle origini ad oggi.

Alcol: piacere, trasgressione, condivisione, ma anche altro…
E di conseguenza è sempre stata insita nell’uomo per il suo tramite, la ricerca del piacere, della condivisione e della trasgressione che ne deriva.
Detto in sintesi, il libro ci spiega soprattutto come la conseguente ubriachezza ha sempre accompagnato le vicende umane, in ogni tempo e in ogni luogo, come ricerca di piacere, condivisione, e trasgressione, non solo personale ma soprattutto di gruppo.
L’alcol ha aiutato anche re e dominatori a tenere soggiogati i popoli, dando loro da bere per festeggiare e non capire più la vera realtà dei fatti, e ha fornito anche il pretesto e l’aiuto durante le guerre sotto forma di “coraggio liquido“.
L’essere umano fa fatica a vivere la sua sobrietà e proprio per questo è interessante analizzare il fenomeno ai giorni d’oggi, ad esempio provando a girovagare all’interno di qualche grande evento che celebra l’essenza stessa dell’alcol e del mondo che lo circonda.

Whisky Live Paris
Così, giusto per cominciare, questo weekend si è tenuto a Parigi quello che probabilmente è il più grande festival relativo al whisky, ma anche a tutti gli altri distillati che, grazie al loro contenuto alcolico, diventano una componente difficilmente scindibile dalla persona.
Parliamo del Whisky Live Paris (WLP). Per i dettagli sulla manifestazione in sé si può tranquillamente fare riferimento al sito ufficiale e ai nostri resoconti della precedente edizione, ma questo giro proviamo ad interpretarla come parte viva della “storia dell’ubriachezza”.
Mettiamo prima su una colonna sonora festosa, gioiosa, di cui non dobbiamo ascoltare le parole ma solo il ritmo che ci guida verso le tante, molte, troppe bottiglie che abbiamo davanti.
Cosa sarà…?
La domanda oggi è questa: cosa spinge decine di migliaia di persone a sobbarcarsi strada, costi e fatiche per poi abbandonarsi a questo “Festival dell’alcol” dove il sopravvivere fino a sera è un’impresa ardua?
Prendiamo la definizione ufficiale dal sito: “Avrete l’opportunità di incontrare produttori che presenteranno le loro nuove ed esclusive novità. Whisky Live Paris offre un’occasione unica per immergersi nel mondo dei malt whisky, del rum e di altri raffinati distillati. Riunisce persone appassionate di mixology e della cultura della degustazione, favorendo un’atmosfera di esperienza e scambio di conoscenze. Non riguarda solo la degustazione, ma anche l’ampliamento della comprensione del mondo dei distillati e il collegamento con persone che condividono la stessa passione”.
Ecco, forse la parola più corretta è proprio quella finale (perdonate il voluto maiuscolo): PASSIONE. Possiamo considerarla come la versione odierna della passione per l’alcol di cui parla il libro. Finalmente, più che la trasgressione, c’è la voglia di conoscere, di discutere appassionatamente davanti a un bicchiere riempito appena appena con solo un goccio di prezioso nettare (senza pensare solamente all’ubriachezza, per fortuna).

È il piacere di reincontrare vecchi cari amici che condividono gli stessi interessi e che, nonostante tutto il ben di Dio che il festival mette già a disposizione, sono pronti a estrarre dalle tasche piccole bottigliette con ulteriori nuovi e sconosciuti spiriti che vogliono farti assaggiare per sentire la tua opinione.
È il format stesso che lo consente, perché anche dietro ai banchi non troviamo persone che pensano solo a farti bere, ma distillatori di sapere che vogliono spiegarti in ogni dettaglio cosa è contenuto in ogni loro bottiglia e tutto il lavoro, tutta la storia che ci sta dietro.
Proviamo allora a raccogliere alcuni pensieri per raccontare meglio quale sia la realtà odierna di queste nuove sessioni di bevute collettive, in attesa dell’aggiornamento del libro con un nuovo capitolo dedicato a quella che ormai è la cronaca contemporanea.

I numeri, già… i numeri
Cominciamo parlando di numeri, intesi sia come partecipanti che come espositori. I biglietti staccati aumentano di anno in anno (nonostante, ovviamente, aumenti anche il prezzo), le code per entrare si fanno sempre più chilometriche, la location della Grande Halle de la Villette è stata ormai riempita tutta. In principio era il Whisky; ora si è arrivati alla Rhum Lane, al Patio Des Agaves, alla Gin Lane, al Sakè District, al Pavillon France con Armagnac, Cognac e Calvados e così via. Lo stesso whisky ormai è frazionato e suddiviso tra i vari paesi: Scozia, Irlanda, USA, Asia, Oceania, Francia e così via.
E se i numeri aumentano vuol dire che l’interesse è in crescita. In orario di punta ormai c’è ressa, sovraffollamento…

E, parlando di altri numeri, stanno sempre più crescendo quelli riportati sulle etichette, intesi come anni di invecchiamento, scatenando un vero e proprio assalto “a chi ce l’ha più alto… come età”, quasi come se fosse automaticamente un simbolo di eccellenza. In ogni caso, nell’ottica del nostro libro, quando si va alla ricerca dello sballo, sicuramente più il distillato è stato a contatto con il legno e più ha acquisito congeneri e altre sostanze che aumentano il mal di testa da sbronza, quindi ci sta tutto!
E soprattutto le nuove realtà hanno tanto interesse a mettere finalmente in mostra numeri più alti: per parlare anche finalmente un po’ di whisky, nello stand Kilchoman (che è una delle entry più recenti tra le distillerie della famosa isola di Islay), ha bloccato il traffico davanti al suo banco per la presenza di vari numeri oltre il 10 che hanno riscosso grande interesse (anche perché effettivamente di ottima qualità).

Evoluzione del consumo
Passaggio alla “premiumizzazione”. Aumenta l’interesse, ma è un aumento verso la maggior qualità. L’introduzione da alcuni anni dell’Area Vip (ovviamente con sovrapprezzo…) e il suo overbooking indica quale è la tendenza. La gente ne sa sempre di più e non vuole solo ubriacarsi, ma è alla ricerca dei prodotti migliori, più sofisticati, più elaborati. Che sono poi i prodotti che necessitano di maggior compartecipazione, di dettagliate spiegazioni, di andare oltre la normalità.
Per capire meglio il concetto, è in questa area che abbiamo potuto incontrare Rhum Rhum (che poi sono gli italianissimi Michele e il “Capo” con in più vicino Anna) che, a proposito di new hits, ci fanno subito innamorare del loro nuovo Liberation 2024, tenuto chiuso a maturare (ed evaporare) nelle botti per ulteriori quattro anni rispetto all’ultima versione. Residui spinti di vegetale che rimangono ancora sullo sfondo a dare freschezza al calore estremo che ci porta il legno, lasciando in bocca tracce che confermano immediatamente che siamo ancora nel mondo del Rhum di puro succo di canna. Una nuova uscita di prestigio che necessita di un palcoscenico di prestigio per presentarsi.

E quando si parla di Mezcal, si sale anche qui di livello, e si parla della vera realtà fatta di piccole aziende isolate, nascoste, sporche, polverose ma rigorosamente artigianali, che solo il progetto Palenque Spirits di Velier riesce ad esportare per portare la qualità fino a noi, per farci conoscere i volti, i nomi, di chi si affatica ogni giorno dietro forni interrati e procedimenti completamente manuali che altrimenti rimarrebbero confinati entro pochi chilometri, date le minuscole dimensioni.
Così come per l’Armagnac e L’Encantada, che oltre alla presenza dello stand classico con i prodotti standard, core range, ha ritenuto necessario sdoppiarsi per entrare anche nell’Area Vip e presentare le ultime novità più prestigiose.

Anche la forma vuole il suo posto: piccole damigiane di vetro, con servizio tramite siringone in vetro dedicato normalmente al prelievo direttamente da botte in distilleria. Bollino in ceralacca con tutti i particolari, dalle uve ai tipi di legno utilizzati. Spiegazioni professionali seguite da una folla doppia rispetto al banco standard più sotto. La gente oggi vuole questo. Se si cerca l’ubriachezza, deve essere un’ubriachezza bella e soprattutto piacevole, perché “È qui la festa!”
E in un mondo di tablet e cellulari, indispensabili per immortalare tutte le bottiglie affrontate, è bello vedere spuntare decine e decine di taccuini dove annotare con dovizia di particolari quanto è stato raccontato e le impressioni su quello che si è assaggiato.
L’importanza del mondo della miscelazione: la zona cocktail ha ormai assunto dimensioni impressionanti. Si alza il volume della musica, anzi delle musiche, compare qualche divanetto, si moltiplicano i colori e la gente si aggira dimenandosi con grossi bicchieri e cannucce in mano.

I cocktail standard fanno ancora scuola, dando il via alle tendenze, assieme alle novità, alla voglia di colpire e di stupire, ai movimenti di impatto scenografico dietro i banconi. Ma quello che conta anche in questi piccoli localini che animano il piazzale, è la ricerca della qualità, che sta nella ricerca e studio degli ingredienti di maggiore qualità.
Il pubblico è esigente, sa distinguere un Old Fashioned da un Manhattan, ma adesso sta imparando a distinguere e ad apprezzare le differenze tra i diversi tipi di whisky con cui può creare il suo cocktail. I dettagli fanno la differenza!
Se queste sono le motivazioni “spiritose” che spingono oggi la gente in direzione di un evento internazionale di queste dimensioni, il libro di Forsyth ci spiega che però tutto il mondo è paese e l’”ubriachezza” raggiunge tutti i confini, e quindi spinge la gente anche verso eventi che sono un po’ più piccoli ma ugualmente significativi nel contesto.

Se all’interno del Whisky Live Paris, gli amanti dello spirito giapponese potevano disporre di un distretto, altrove (molto più vicino a noi) c’erano intere sale di un hotel per garantire ai cultori del tema una domenica realmente esperienziale e immersiva. Un po’ come accade quando il piccolo assaggio stimola una maggior sete.
E così… da Parigi a Milano, vivendo di festival, una tale opportunità, seppur impegnativa, non poteva certamente essere tralasciata.

Stessa domenica, ma in Italia…
Nello stesso giorno, in contemporanea, l’Italia ci presentava la Milano Sake Experience. Sempre di “spirito” si tratta: scendiamo da 20.000 a 2.000 persone, ma parliamo di una sola bevanda (o meglio due, Sake e Shochu) e di una sola nazione (Giappone), per cui la proporzione pende forse più da questa parte.
Sono liquidi certamente meno diffusi e meno noti, ma con centinaia di anni di storie alle spalle che incuriosiscono e creano il giusto hype. D’altronde, per motivare un’altra coda interminabile di persone a dedicare una domenica pomeriggio a mondi così apparentemente lontani, ci deve essere qualcosa di significativo che va al di là delle già troppo citate sbornie da sballo.
Sette ore passate dietro al banco, a parlare in continuazione, a dover gestire in contemporanea diversi gruppetti di appassionati, permettono di farsi un approfondito quadro della situazione.
Tutti cercano cultura, tutti cercano di comprendere sempre più ciò che sta dentro il bicchiere, di trovare le somiglianze e le differenze tra diverse interpretazioni della stessa tipologia di prodotto. E soprattutto, è bello quando accettano la loro ignoranza in materia e si lasciano guidare con occhi spalancati e stupiti.
Insomma, è stata tutta una giornata a ripetere: “…ma lo sai che il Sake è un fermentato mentre lo Shochu è un distillato?”

In questo caso le cose sono facilitate dalla presenza contemporanea di cibi con cui allietare la parte mangereccia, ma con cui fare poi tutta una serie di studi di abbinamento, per trovare cosa sta meglio con cosa.
La partecipazione in continuo aumento dei produttori direttamente dal Giappone, con i loro colori sgargianti e la loro simpatia, sta a significare l’importanza riconosciuta all’evento. Ciò si traduce nel grafico presentato relativo alle esportazioni, dove l’Italia è balzata al primo posto in Europa, diventando un paese di interesse focale.
E poi anche qui era tutto un “vincere facile”, vista la presenza in libera – e gratuita! – degustazione di tutti gli oltre 1000 prodotti che erano stati in gara al concorso di giugno (Milano Sake Challenge) e che hanno praticamente intasato i due grandi saloni della manifestazione.
Questa manifestazione ha appunto lo scopo di produrre conoscenza, interesse, studio e competenza su queste antiche e nobili bevande.

D’altronde, è solo un altro modo per confermare le ultime parole della nostra citazione iniziale: “Il fatto che debba esserci, in qualche misura, un po’ d’alcol nell’Uomo”. E da Parigi e Milano, passo e chiudo!
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