La Notte degli alambicchi accesi a Santa Massenza celebra l’antica grappa artigianale trentina. Ritmi, storie e suggestioni da un tempo che fu.
Viviamo in un mondo frenetico, dobbiamo sempre correre, la globalizzazione ci impone le sue regole, rischiamo di passare il mese di dicembre chiusi all’interno dei grandi centri commerciali…
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Basta, stop! Fermiamoci un momento, riduciamo la velocità, cambiamo almeno solo per un piccolo momento il mondo che ci circonda. Iniziamo a rilassarci con una bella colonna sonora, tranquilla, leggera, che ci rimanda al mondo dei nostri ricordi, di un’epoca dai ritmi diversi.
Mentre ci lasciamo cullare da queste note, lasciamoci trasportare dalla fantasia, anzi, ancora meglio lasciamoci trasportare dalla macchina, lasciamoci alle spalle la pianura trentina e il suo caotico capoluogo e inerpichiamoci sulla strada che poi dall’altro lato ridiscende verso la estremità alta del lago di Garda, ma fermiamoci subito.
Fermiamoci all’ingresso di quella che è denominata la Valle dei Laghi, attratti dal cartello stradale che riporta le indicazioni Santa Massenza – Il Paese del Vino Santo Trentino e della Grappa Artigianale.
Davanti a noi, proprio sotto la montagna, vediamo un piccolo lago, ben curato, con un sentiero che lo circonda, accanto alla strada asfaltata, e più in avanti scorgiamo un piccolo pugno di case. Una piccola oasi di pace che ci portare indietro le lancette dell’orologio, o ancora meglio degli anni. Abbiamo raggiunto la nostra meta.
Dimentichiamo per un attimo i grandi distillati internazionali, industriali, cui troppo spesso anche noi italiani strizziamo l’occhio e facciamo un bel passo indietro, nella nostra storia, nelle nostre tradizioni, nei nostri sapori, lasciamoci riscaldare dai racconti dei tempi che furono e ripensiamo al famoso Filò trentino: il ritrovarsi tutti insieme nelle lunghe fredde sere di inverno, a turno nelle stalle del paese, con le donne che filavano e cucivano mentre i vecchi raccontavano le storie e le leggende ai bambini, spesso e volentieri a fianco degli alambicchi accesi e del dolce tepore che diffondevano nell’ambiente.
Da bambini che ascoltano curiosi, veniamo allora a sapere che questo piccolo paesino, Santa Massenza, non è famoso solo per il bellissimo lago sulle cui rive si appoggia (anche), non è famoso solo per la grande centrale idroelettrica, scavata per qualche centinaio di metri dentro la montagna, nel secondo dopoguerra, e che ha portato per tanti anni posti di lavoro e prosperità (anche), ma è sempre stato famoso per essere considerato la culla della grappa artigianale.
Beh, facile direte voi, frase che dicono tutti per sentirsi importanti… Ma poi venite a sapere che effettivamente qui l’arte della distillazione (o per meglio dire del lambiccare) è ultracentenaria e che le distillerie fumanti erano svariate decine, praticamente in ogni casa del paese.
Non contenti di questo vi raccontano che fino negli Ottanta c’erano ancora 13 distillerie attive. E per finire vi snocciolano che oggi come oggi, anno 2022 D.C., in un paesino di 130 abitanti ci sono ancora 5 distillerie ancora in regolare funzione (Se non è un record di concentrazione, poco ci manca!).
Ci sediamo, calmi e rilassati. Una volta diventati amici degli anziani del paese (e davanti a un buon bicchiere) arrivano pian piano tutti i dettagli: parliamo di quella attività antica che oggi, nei tempi moderni ha preso il nome di microdistillazione.
L’abbondanza di materia prima disponibile (vino ma anche frutta) a Km0 e la disponibilità di legna da utilizzare come combustibile sotto i pentoloni (detti più precisamente alambicchi) hanno fatto si che praticamente tutti praticassero da settembre a dicembre questa nobile arte, nel senso più tradizionale e artigianale del termine, approfittando nel contempo, come abbiamo già ricordato, del calore diffuso che viene generato per riscaldarsi e passare le serate, chiacchierando e ricordando. “Una sera a casa mia, domani a casa tua” e così via. Così gli anni si sono susseguiti nel loro lento fluire.
In poche parole abbiamo veramente a che fare con un patrimonio – troviamo in giro per il mondo dei patrimoni dell’Unesco che forse sono meno significativi… – che non può andare disperso, che non può rimanere chiuso in sé stesso, che necessita di essere conosciuto e tramandato. Ma come?
Paese piccolo vuol dire forti legami e vuol dire anche associazionismo. Nasce a livello locale l’Associazione “Santa Massenza Piccola Nizza de Trent”, che si fa forte della propria cultura e lavora per far in modo che sempre più persone abbiano modo di vivere e cullarsi in questa “carezza della sera” – avete ancora la musica in sottofondo vero? -, sperimentando le emozioni di questo mondo che sembra arcaico ma è moderno.
Come dice la Presidente, Paola Aldrighetti, nasce così una manifestazione che ogni anno vuole ricordare e celebrare i tempi e i modi lenti della distillazione secondo queste modalità completamente artigianali. E quale modo migliore se non quello di viverli direttamente?
E’ così che nasce “La notte degli alambicchi accesi”, spettacolo itinerante che tocca le 5 distillerie rimaste, e celebra il mondo della grappa di oggi e di ieri in tutti i suoi aspetti, storici, scientifici e anche etici, facendo poi ovviamente anche assaporare i risultati di questa nobile arte.
Ecco allora che rigorosamente nei giorni dell’Immacolata, da ormai 14 anni a questa parte, abbiamo ogni giorno due spettacoli, rigorosamente di sera, quando il buio (e magari la neve, a seconda degli anni) ammanta di ombre la giornata al declino, in cui folle di persone – rigorosamente soldout per tutti i 200 partecipanti previsti ogni giro, in un paese con poco più di 100 abitanti – si riversano per le viuzze del paese ed entrano nelle 5 ambientazioni, per vivere le diverse rappresentazioni scenografiche di un unico grande magico spettacolo, lo spettacolo della grappa!
5 location all’interno delle 5 distillerie che variano come dimensioni da poco più di una cantina fino a poco meno di un grande garage/capannone, e dove gli stessi nomi rimandano alle tradizioni di famiglia di un tempo che fu.
In ordine rigorosamente alfabetico (di nome…!) abbiamo infatti la Distilleria Poli Casimiro, per poi passare a Poli Francesco, poi Poli Giovanni, continuando per Poli Giulio e Mauro e per finire a Poli… No! L’ultima si chiama Maxentia (che poi altro non è, guarda caso, che Poli Valerio ed Ezio, ma con un piccolo tocco di variazione e modernità).
5 distillerie con piccoli alambicchi a bagnomaria, con produzioni al limite della quota giornaliera (dicesi Licenza di Quota Giornaliera quando si paga le accise per lavorare solo una intera giornata e poi ci si ferma fino ad un ulteriore eventuale giro successivo). 5 piccoli mondi storici dove si tocca con mano il perché del titolo sul cartello che ci ha fatto fermare (“La culla della grappa artigianale”)
Ovviamente, viste le ridotte dimensioni, i 200 partecipanti vengono suddivisi in 5 gruppi in modo tale da poter essere accolti contemporaneamente in una diversa distilleria dove assistere a una breve rappresentazione e a un assaggio.
Poi via tutti dis-ordinati (il freddo, l’emozione e l’alcool non aiutano) verso la location successiva e così via, passando per tutte e cinque le distillerie.
Le leggi del teatro e dello spettacolo (visto che di questo si tratta) prevedono che vengano lasciati dei messaggi, dei simbolismi più o meno chiari, che ognuno poi deve cercare di raccogliere ed interpretare a modo suo.
Pertanto mi permetto di tralasciare i singoli dettagli e cercherò invece di estrapolare in maniera completamente “libera” e personale i concetti delle rappresentazioni, ricordando che (come cita testualmente il volantino della manifestazione) “si celebra la finezza della grappa di oggi e si brinda al suo futuro. Verranno raccontati i procedimenti scientifici e quelli simbolici, indispensabili per ottenere la separazione della materia leggera da quella pesante e tutte le evoluzioni necessarie alla elevazione della qualità”.
SI inizia allora dal territorio, dalla conformazione della vallata, con la cartina dettagliata bella grande davanti agli occhi, si inizia dal terriccio vero e proprio che annusiamo e tocchiamo con mano, contenuto all’interno di piccoli vasetti. Per avere una grande vite e poi una grande uva serve appunto prima un grande terreno sottostante.
Arriviamo così all’uva e abbiamo il vino e poi dalle vinacce residue la grappa. L’assaggio comparato dello stesso vitigno prima come vino e poi come grappa ci permette di entrare nel vivo del discorso e trarre le nostre conclusioni: sono o non sono parenti? Ai posteri l’ardua sentenza.
Poi andiamo avanti, secondo passaggio, alla scoperta del racconto della produzione. Ci accomodiamo davanti a un alambicco in piena funzione, dove vediamo dagli oblò sulle colonne il liquido ancora in ebollizione e più in là vediamo sgorgare il prodotto finale, la nostra amata grappa.
Il discorso si rimpalla tra la spiegazione tecnica e la spiegazione storica della ricerca della quintessenza, e del paragone tra le varie pietre preziose e la nostra grappa che intanto beviamo. La accostiamo a un diamante per la sua trasparenza, o all’ametista per la sua durezza, oppure…?
La terza stanza di introduce ai tipi di studio, alle modalità di approccio a Santa Massenza (intesa qui come grappa). Possiamo metterci ad osservare da tanti punti di vista, ma cerchiamo di non perdere di vista l’oggetto che abbiamo davanti, non lanciamoci in analisi troppo approfondite, dimentichiamo l’epistemologia (che non ho mai capito bene cosa sia…) e lasciamoci andare ad un approccio rilassato, tranquillo, disteso, dove quello che ci interessa lo troviamo nel bicchiere e deve semplicemente essere una cosa che ci appaghi, ci dia soddisfazione, ci permetta di stare insieme agli amici a condividere.
Il quarto tassello che ci viene proposto prendiamolo come metafora e leghiamolo impropriamente ma direttamente al terzo. Abbiamo qui la rappresentazione dell’alambicco ambulante che gira per i campi alla ricerca del grappolo perfetto da cui avere poi alla fine la grappa migliore, perfetta.
Ma questa selezione alla ricerca della perfezione fa sì che riusciamo ad ottenere solo una piccola boccetta di risultato finale. Siamo arrivati alla concentrazione della quintessenza, del tutto cosmico, ma siamo però costretti ad assaggiarlo col contagocce (nel vero senso della parola, tutti in fila una dopo l’altro, con la lingua di fuori ad attendere che la singola goccia venga lì depositata per essere assaporata in tutta la sua essenza!). Meglio avere limiti, avere qualche imperfezione, ogni anno simili ma diversi come prevede la artigianalità.
E alla fine arriva l’etica, il bere consapevole, l’attenzione alla salute. In maniera umoristica ci viene giustamente ricordato che noi dobbiamo assaggiare queste bontà, non esagerare. Il piacere non deve degenerare nella trasgressione.
Un percorso trasversale, quindi, di difficile interpretazione perché l’ordine delle stanze varia in base al gruppo (solo uno dei cinque gruppi lo riesce a seguire secondo lo schema qui riportato, gli altri hanno tutti un ordine diverso per ognuno). Ma chi è che può permettersi di decidere quale sia l’ordine giusto? Questa è arte, e ognuno giunge al suo diverso risultato finale.
Risultato finale che, per dovere di cronaca, è scandito dalla diversità del territorio, che ci permette così di avere la possibilità di assaggiare 5 diverse interpretazioni di grappa: una nosiola, una moscato, una teroldego, una gewurztraminer e una schiava-nosiola.
Ognuno assaggia secondo a seconda del percorso assegnatogli. Ma siamo tutti dentro lo stesso racconto, dentro la stessa storia.
Fino poi ad arrivare, prima dei saluti, al gran finale, tutti insieme nuovamente nella piazza “grande” (si fa per dire). Arriva il momento della sintesi: ci troviamo davanti all’insieme, al tutto, all’unione, alla familiarità, allo spettacolo: in un gran boccione vengono versate le 5 diverse grappe, mescolate e distribuite a tutti per il giro finale.
Mi viene da dire, sempre a libera interpretazione: piccoli è bello, uniti ancor di più
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