Il genuino è sempre più buono e appassionante. Appenninia 2025: il terroir diffuso e identitario che sfida il futuro.
“C’è una regione italiana da scoprire: la ventunesima. È la regione dell’Appennino, chiamata Appenninia, di cui si parla già dal 1910, una regione verticale che taglia tutta la penisola con caratteristiche comuni e fondanti lunghe 1350 km, dal Colle di Cadibona alla Sicilia“. È questo l’incipit sul taccuino ricevuto a Appenninia 2025, il Festival del vino che non mi perderei per niente al mondo.
[si legge, più o meno, in: 4 minuti]
Sono rimasti i piccoli eventi quelli più gioiosi e divertenti, dove c’è lo spazio e il tempo per intrattenersi con i produttori, nonché quelli che danno l’occasione di scoprire le “chicche” che altrimenti non avremmo nemmeno potuto pensare che esistessero.
Ecco cosa è Appenninia, e devo dire che non è stata una sorpresa: già l’anno scorso prometteva bene, apportando insoliti punti di vista enoici, da una visuale montana e un po’ sperduta rispetto ai soliti canali. E da lassù, come da ogni montagna che si rispetti, la visuale è alta, e larga.
Rimangono tuttavia problemi pratici. Come portare a conoscenza del grande pubblico l’esistenza di queste piccole realtà? Come affrontare i problemi legati alla burocrazia e al rispetto delle leggi se siamo in assenza di un consorzio che tuteli? Consorzio che non siamo sicuri sia necessario, con i pro e i contro di avere un ente superiore che sì può aiutare e supportare, ma anche limitare l’espressività dei singoli produttori.
Inoltre, la strenua lotta tra chi vorrebbe poter utilizzare i PIWI anche per ragioni ecologiche e chi invece li vede come una moderna offesa alla tradizionalità toscana. Chissà chi ha, e chi avrà, ragione.
Nel frattempo ci siamo goduti una carrellata di aziende di Marche, Romagna, Emilia, Toscana e Lunigiana, in uno spazio artistico davvero insolito e incredibile, surreale direi: in mezzo a brutti capannoni industriali e nascosto dietro uno di essi c’è lo Spazio Brizzolari, inaspettato museo di arte moderna intitolato all’omonimo e coloratissimo artista.
I terreni gessosi dell’Appennino Romagnolo, il concetto di “territorialità appenninica” che esprime la montagna: la sua sapidità e mineralità (aiutatemi a trovare la giusta parola che sostituisca questa, abusata e bruttina, poco esaustiva), la necessità di tornare al primordiale con le numerose tecniche ancestrali – spesso ben riuscite ma a volte mica tanto perché il Brett è un difetto, non una peculiarità – e l’audacia di sperimentare, fare tentativi, investire soldi e sudore in territori che ogni momento rischiano di venire abbandonati dalle genti e dalle istituzioni.
Piccola selezione
Eviterei di riportare l’elenco delle degustazioni, rischio la noia del lettore e francamente vorrei che ognuno facesse la propria esperienza. E’ però mio dovere – e mio piacere – segnalare le aziende a mio avviso più interessanti.
Terre dei Lontani (Pian degli Ontani PT) 1100 mt slm
Gregorio Ceccarelli è stato supportato sin dai recenti inizi da Massimo Motroni, e questa è già una garanzia: il QuotaMillecento Bianco, riesling in blend con muller-thurgau, incrocio manzoni e chasselas, spicca per la fresca aromaticità, ma i miei preferiti sono A La Solatia, il rosè di pinot nero che sprigiona una dissetante freschezza profumata di petali di rosa, e QuotaMillecento Pinot Nero, ammorbidito dalla permanenza in botti piccole, speziato e profumato di quei fruttini di bosco che lì intorno si raccolgono da sempre, sicuramente gastronomico.
Terre Alte di Pietramala (Firenzuola FI) 860 mt slm
Simone Menichetti si era già fatto notare l’anno scorso, e conferma la pulizia dei suoi vini, prodotti ahimè in piccolissime quantità, dimostrando che la tecnica non si improvvisa: il freschissimo rosato Via Le Pangarine, da pinot grigio, viene addirittura vinificato in damigiane; Via le Pangarine Bianco, anch’esso vinificato in damigiane, fermenta il pinot bianco che resta sulle fecce fini ben 12 mesi per poi donarsi nella consistenza ricca di sapore e di impeccabile acidità; Malapietra è invece l’esplosione floreale del pinot nero, consistente e persistente a dispetto della leggiadra trasparenza del colore.
Tenuta Baccanella (Borgo San Lorenzo FI)
Siamo nel cuore del Mugello e Giulio Cappetti ci propone con giusto orgoglio il suo Baccarosso 2021, pinot nero in purezza ricco nel gusto di amarene dolci, fragoline e petali di rosa e persistente nella freschezza e nei tannini fruttati.
Terra e Sale (Brisighella RA)
All’interno del Parco Naturale della Vena del Gesso, i vini di Alan Di Criscienzo esprimono il territorio in senso stretto: Albana Secco 2023 presenta corpo e calore ma non tralascia affatto la freschezza agrumata e la vena acida e beverina; Rosato 2023, da uve syrah, è di un color corallo decisamente affascinante, dal sapore intenso e lievemente amaricante, pepato nell’acidità; Brisighella Riserva 2020, dal grip floreale e carnoso nella sua predisposizione meditativa, mi stimola a voler capire, da toscana incallita quale sono, le potenzialità e l’originalità dei cloni di sangiovese coltivati da queste parti.
Come sempre, non è stato possibile assaggiare tutto! Meritano però una menzione:
- Corallo Giallo Albana secco 2022 – Gallegati
- Il Pliò 2022 Metodo Classico – Il Pliò
- Maestroso Riserva 2020 – Sadivino
- Ronco della Simia 2020 – Ronchi di Castelluccio
- Monteré Albana 2022 – Vigne dei Boschi
Ad Maiora, Appenninia! O… forse no, meglio restare piccoli, che aiuta a rimanere genuini. L’anno prossimo però ci torno!
foto: Luisa Tolomei, Paolo Bini ©
Riproduzione riservata © spiritoitaliano.net ® 2020-2025