L’aria pesante (poi svanita) da dazi non ha soffocato il Vinitaly. I numeri danno ancora ragione e rinnovato coraggio per l’export
Se lo “Statista americano dell’improvvisazione” fosse stato messo alle strette dai suoi autogol solamente qualche giorno prima, ci saremmo sicuramente risparmiati quell’aria pesante da dazio imminente che (inutile negarlo) ha condizionato buona parte del dibattito a Verona.
[si legge, più o meno, in: 6 minuti]
Erano infatti passate solo pochissime ore dalla chiusura dei battenti del 57° Vinitaly, quando il riverito secondo Donald più famoso e apprezzato al mondo – il primo rimane sempre il disneyano Duck – ha annunciato la sospensione per tre mesi delle imposte sull’import dall’UE.
Export, ovvero, l’essenziale
La situazione, come ben sappiamo, rimane in divenire e difficilmente inquadrabile. La sensazione è che non si concluderà poi benissimo ma neppure così male come la si temeva. Lasciando stare gli ipotetici “0 a 0” – su questo era bravo Nereo Rocco… – abbiamo l’impressione che il problema principale dei mercati nel 2025/2026 continuerà a essere lo stallo nei consumi e non tanto le accise e la perdita di competitività del vino italiano in USA.
Detto ciò, staremo tutti a vedere questa sorta di “Truman show” dove il capobranco fa la voce grossa in mondovisione con i suoi yesman incensanti nello Studio Ovale per poi beccarsi le (virtuali) scoppolette sulla nuca dalla finanza americana e da quelle holding che mal digeriscono lo scontro autoeliminante con la Cina.
Insomma: le solite chiacchiere e proclami da populisti – accade anche in Italia, lo sappiamo bene – a cui servono pseudo-nemici da additare per giustificare il proprio fallimento o la propria impotenza.
Se l’istrione platinato sta fallendo su tutti i fronti in merito alle promesse di rilancio economico interno e pace immediata, al mondo dell’alcol buono europeo cambia poco. Le parole stanno a zero e rimangono stazionari sia i numeri che l’instabilità politica nel continente.
Non è un bel programmino quello di attendere l’India, con la Cina in lieve recessione e la Russia alle prese con la guerra… ergo: gli USA rimangono il mercato vitale su cui far girare la gran parte degli ettolitri proseguendo il lavoro certosino nell’individuazione di nuove risorse per veicolare il prodotto.
Dazi, dealcolato, cultura, enoturismo: questi quindi i quattro temi più gettonati a Vinitaly dal 6 al 9 aprile scorsi sotto l’aura dell’internazionalizzazione. Materie indubbiamente pregnanti considerato sia il target che la decisione di Veronafiere di stringere ancor più le maglie sulla partecipazione di alcuni operatori di settore. D’accordissimo sulla posizione presa, ci deve essere spazio per tutti sia “in the fair” che “in the city“, l’importante è non mescolare le carte ed evitare commistioni controproducenti.
I temi
Tema 1: dazi
Già scritto: tutto ciò che è stato dibattuto fra i padiglioni è diventato obsoleto poche ore dopo la chiusura dei cancelli. Sono state spedite le bottiglie che a inizio aprile erano rimaste ferme ai porti, ciò non vuol dire che a settembre ripartiranno copiose come l’anno scorso. L’instabilità rimane il male maggiore.
Tema 2: dealcolato
Inevitabile l’elevazione a ruolo di protagonista per la nuova bibita che – noi la pensiamo così – una volta superata la curiosità della novità dovrà vedersela con competitor quali l’esotico succo all’acerola, il tradizionale chinotto, l’evertrendy ginger ale e i salutari infusi e centrifughe di frutta e verdura… in bocca al lupo ai produttori (li comprendiamo) e ai comunicatori (li compatiamo).
Nessuna preclusione né superficialità, però…
Attenzione, non vogliamo banalizzare e troviamo necessario fare distinzioni: si riscontrano differenze cruciali nella validità, nella contestualizzazione e nell’appeal fra il no&low wine e il no&low spirit. I secondi li assaggiamo da tempo con curiosità, stimolo e ottimo riscontro: molti dei prodotti no&low usciti dalle distillerie sono frutto di lungo studio, preparati con cura, buoni e assolutamente proponibili per la miscelazione analcolica o per una chiusura a fine pasto.
Lo spirit no&low va spesso a intercettare la tendenza attraverso una continua ricerca nel miglioramento produttivo e qualitativo. Per il vino (oggettivamente e onestamente) il discorso cambia mentre rimane immutata ed eterna la sua sacralità in quanto “vino“…
Tema 3: cultura (e politica)
Lo abbiamo appena scritto: il vino è il “Vino” e ci mettiamo pure la maiuscola. L’intelligente azione politica che in questi anni l’Italia sta conducendo per salvaguardare il settore a livello unitario è riuscita negli anni a rimpallare o posticipare numerose decisoni avverse. Si saranno sicuramente fatti degli errori ma sono stati come quegli inciampi che solo gli inetti non conoscono.
La X legislatura iniziata meno di un anno fa, pare mostrare una maggior consapevolezza e la presenza a Verona del Commissario UE per la Salute Olivér Várhelyi è stato un bel colpo assestato agli integralisti della lotta all’alcol.
L’ungherese Várhelyi ha partecipato al convegno “Prospettive settore vino, la sua importanza in una dieta salutare ed equilibrata e come elemento portante del patrimonio culturale-alimentare europeo” rilasciando dichiarazioni di nota: «Il vino incarna una tradizione europea che ha migliaia di anni […] Bere un bicchiere di vino a pranzo o cena è una scelta personale, ma è anche parte della dieta mediterranea da cui emerge che un consumo molto moderato ed equilibrato può rientrare tra le abitudini alimentari. Cibo e bevande non sono solo nutrizione e sopravvivenza: fanno parte di ciò che rende la vita piacevole e sono anche centrali per il nostro patrimonio europeo. Quello che mangiamo e beviamo è parte di ciò che siamo».
Il commissario si è spinto anche oltre: «Sappiamo che il consumo di alcol, se si mantiene un equilibrio, non ostacola la longevità» e su quest’ultimo virgolettato noi non ci sentiamo di mettere la mano sul fuoco e prendiamo le distanze per incompetenza, ma resta il fatto che la musica a Bruxelles pare cambiata e ci piace vedere che le istituzioni nostrane cercano di sfruttare l’opportunità.
Cultura ne è stata proposta anche a fatti e non solo a parole. Numerosi convegni, approfondimenti a tema e lo spazio espositivo “The reason wine” a cura del MASAF con la collaborazione del MiC. Un allestimento, per buona parte immersivo, pensato per raccontare e celebrare le ragioni del successo del vino italiano nel mondo con un focus particolare sull’export e sull’eccellenza storica del settore vitivinicolo nazionale.
Oltrepassato il tendone di entrata, un breve ma interessantissimo percorso esperienziale dove con le nuove tecnologie si è esaltata la tradizione, i testi antichi e numerosi documenti provenienti dagli archivi Mastroberardino. Un patrimonio letterario impreziosito da alcune opere d’arte e un video illustrativo: il messaggio è arrivato bene a chi ha voluto regalarsi una mezz’ora di ampio respiro in uno spazio ristretto.
Tema 4: enoturismo
Una novità “in progress” relegata nell’ultimo giorno ma sulla quale è essenziale puntare maggiormente. C’erano 67 aziende a rappresentare 76 strutture ricettive da 15 regioni con 16 tour operator provenienti da Stati Uniti, Germania, Spagna e Italia.
Matching b2b e confronti al Palaexpo: l’esperimento non ha né deluso né esaltato, ma vista l’importanza serve anticiparlo togliendolo dall’ultimo giorno e, meglio ancora, quantomeno doppiarlo in lunghezza temporale.
Attendiamo sul tema gli sviluppi per il 2026 da costruire anche attraverso l’opera “missionaria” che vedrà nel 2025 Vinitaly “around the world” ancora per 6 tappe, a partire da questi giorni in cui la carovana sarà in Brasile per poi spostarsi subito in Cina (maggio), poi in Kazakistan (luglio) e, dopo l’estate nuovamente in Cina (settembre), USA (ottobre) e Serbia (novembre).
Di operatori esteri, in fiera, ne sono arrivati parecchi: secondo l’organizzazione hanno superato le 32.000 unità (su 97.000 ingressi complessivi) da oltre 130 Paesi. Sempre molti buyer da Stati Uniti, Germania e Regno Unito e un significativo incremento da Francia (+30%) Belgio (+20%), Olanda (+20%) Svizzera (+10%) e Giappone (+10%).
Dal vertice
Il presidente di Veronafiere Federico Bricolo è apparso soddisfatto: «Si chiude con un’edizione di successo, in cui il mondo del vino italiano ha saputo esprimere unità e capacità di reazione, anche di fronte alle difficoltà iniziali legate all’introduzione dei dazi USA. Verona si è riaffermata come capitale europea del vino, grazie alla partecipazione di due Commissari UE, che proprio da Vinitaly hanno annunciato nuove iniziative concrete a sostegno della filiera, insieme ai ministri e alle tante presenze istituzionali a Verona nei giorni di manifestazione. Un segnale forte, in un momento che richiedeva chiarezza, coesione e visione strategica. Vinitaly inoltre consolida il proprio legame con gli Stati Uniti. Su questo mercato, il vino italiano ha le idee chiare: continuare a costruire un rapporto solido e duraturo con i consumatori americani, da sempre protagonisti del successo del nostro export».
Un latente timore di perdere peso specifico che ogni anno si respira nelle dichiarazioni dei vertici. Lo avevamo detto anche lo scorso anno (in cui il rischio era maggiore) e lo ripetiamo quest’anno dopo le picconate di Wine Paris a ProWein che possono incutere timore anche sotto le Alpi: se tutti proseguono a lavorare così… Vinitaly rimane Vinitaly nella sua unicità di rappresentare il vino nazionale. Farne parte costa tanto ma la vetrina rimane esclusiva e altamente appetibile.
Anche il “fuoco amico” nazionale non pare avere le armi per intaccare Verona e il suo sistema costruito nei decenni per fondere sapientemente le produzioni interregionali con la politica bipartisan da Roma, Venezia e Palazzo Barbieri.
Per quanto ci riguarda, in massima umiltà, fa più paura il trasformare Vinitaly in una oligarchia elitaria del vino. Vista la situazione dei mercati, oggigiorno sarebbe un grave rischio ma la sensazione è che ci sia piena consapevolezza su questo e che la rotta sia chiara e condivisa (sebbene i viaggi all’estero portino via energie per rimanere sempre concentrati sulla kermesse di casa).
Bricolo, lo confessiamo, ci piace e ci è piaciuto anche nella cerimonia di inaugurazione, quando ha espressamente fatto riferimento all’unità nei momenti difficili. Un valore essenziale che serve adesso più di ieri, quando le cose filavano lisce come l’olio.
Diamo spazio anche alle parole del DG Veronafiere Adolfo Rebughini sull’offerta in costante divenire: «Vinitaly si conferma un brand solido che è stato capace di fornire al mondo del vino una risposta di sistema allo scenario internazionale. Tra le novità di questa edizione di Vinitaly, l’esordio di Vinitaly Tourism e l’ingresso nel palinsesto di tendenze emergenti come vini No/Low alcol, RAW Wine e vini in anfora. Si tratta di iniziative che arricchiscono l’esperienza fieristica, a conferma di un salone che non solo ascolta e fotografa il settore, ma ne anticipa le traiettorie. Vinitaly, oggi più che mai, rappresenta un asset strategico in un momento di profonde trasformazioni. La qualità degli operatori e la soddisfazione degli espositori con agende di lavoro fitte di appuntamenti, ribadiscono il ruolo centrale della manifestazione nell’ascolto dei mercati e nella promozione del vino italiano a livello globale».
Sulla soddisfazione degli espositori sarebbe bene ascoltare direttamente loro… La maggior parte dei nostri intervistati ci dava comunque un riscontro positivo.
Tutto sommato
Riscontro positivo anche sulla logistica per i visitatori: ottimo servizio navette (ogni anno, arrivati alla Stazione, continua a salirci un brivido dopo la follia del 2022), deposito bagagli Cangrande in affanno nella giornata di apertura ma, tutto sommato, siamo rimasti decisamente soddisfatti di ciò che abbiamo visto in fiera, dentro le hall e nei trasferimenti.
Il format all’interno dei padiglioni è rimasto ovviamente il solito, quello vincente che ogni anno vede nuove aziende riuscire a elevarsi verso i numero 5, 6 e 7, indipendentemente dalla loro provenienza territoriale. Una scalata che da anni fa quasi “status” per non chi arriva dalle nostre tre regioni vitivinicole più famose all’estero.
E poi ci sono stati gli incontri, le cene e i ricevimenti del post-giorrnata che, come sempre, sono un plus – minus? – di investimento economico per gli espositori di tendenza a favore di invitati (più o meno graditi) e dei locali cittadini che attendono a gloria ogni qualvolta vi sia un evento di cartello con tanto di comitiva uscente da Viale del Lavoro.
Una festa anticipata dal fuori-salone Vinitaly and the City che ha staccato oltre 50.000 tagliandi-degustazione: pura vida y alegría anche per ristoranti, enoteche e strutture ricettive cittadine.
A proposito di strutture ricettive: se Parigi sta offuscando Dusseldorf in un momento così selettivo per le fiere, ciò accade anche per la maggior facilità di trasferimento e di alloggio a prezzo decoroso. Verona deve ragionarci sopra perché – perdonateci la metafora – talvolta può bastare un rifiuto organico per scivolare e farsi male in un bellissimo giardino di fiori profumati e resistenti.
Appuntamento per il 2026. Ad maiora, semper.
foto: Paolo Bini © – fonte: Uff stampa Veronafiere
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