Inizia da Vermouth e Gin il rilancio qualitativo ed evocativo del marchio storico Ballor. Bonollo parte con il piede giusto
E adesso proviamo a chiudere gli occhi e immaginiamo di ritrovarci improvvisamente sotto gli eleganti portici del centro di una Torino di metà XIX° secolo ma quando ancora il Regno d’Italia era ancora un sogno, un’idea patriottica, un’ambizione sincera e sentita.
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I Savoia, regnanti di Sardegna, seguivano gli sviluppi dei contrasti politici continentali cavalcavando l’onda crescente e incontrollabile dei focolai unitaristi lungo la penisola. Tempi di alleanze e scontri con gli Stati europei, a cavallo fra la prima e la seconda Guerra di Indipendenza, anni difficili e duri che precedettero la definitiva realizzazione di quegli ideali risorgimentali che unirono molte delle spinte interventiste e insurrezionali dei movimenti politici e massoni lungo lo stivale.
Erano anche anni di fervore intellettuale e ambizioni commerciali, di sogni imprenditoriali e confronto che trovavano alimento e sprone sotto quei portici incantati, magari ai tavolini di un elegante caffè accompagnati dall’assaggio di praline al cioccolato e di un liquore.
Gli anni più belli da Capitale d’Italia dovevano ancora arrivare ma Torino era già una città moderna, viva, aperta, dove era un piacere sedersi in centro per gustarsi un bicerin, una bavareisa o una bevanda alcolica per riscaldarsi dal freddo o giusto per convivialità.
All’epoca il vermouth era un vino aromatizzato già noto e molto apprezzato in città. Oggi diventato bevanda a marchio – Vermouth di Torino IG dal 2017 – già in quegli anni furono molti i pretendenti a crearne la miglior miscela segreta di erbe e spezie per l’infusione in alcol e la commercializzazione.
Nel 1856 fu sancito anche l’atto costitutivo della Freund, Ballor & C. sottoscritto da Henry Freund, Paul Ballor ed Emilie Roussette. Una storia affascinante, figlia di coincidenze che, come spesso accade, sono la genesi di un successo.
Poco tempo prima, il botanico Ballor raggiunse il possidente francese Freund a Torino per assaggiare il vermouth e provare a replicarlo integrandolo con nuovi aromi. Freund si trovava in Piemonte da turista, aveva lasciato per qualche giorno la sua casa nel cantone Orange a poca distanza da Avignone per respirare il progresso di una città d’oltralpe – oltralpe vista dal lato suo… – di cui si raccontava e molto.
L’atmosfera, l’eleganza e il gusto lo conquistarono in poche ore. Pare che Paul ed Emilie lo raggiunsero casualmente insieme e se Ballor rappresentò nel sodalizio la tecnica e la competenza, la Roussette fu l’anima geniale e operativa, colei che seppe trovare le parole più opportune per l’accordo e le giuste essenze per il prodotto scoprendole nei suoi viaggi per la penisola.
Lo storytelling è davvero affascinante, non credete?
Ma prima di tornare ai giorni nostri e raccontare di come la nota distilleria Bonollo Umberto di Mestrino abbia voluto e saputo rilanciare un marchio tradizionale, è giusto ricordare (almeno ai non-boomer) di quanto la Ballor ha saputo segnare il mercato del ventesimo secolo ma particolarmente quello (anche internazionale) negli anni iconici della Belle Époque.
Già dopo un lustro dalla fondazione arrivò la prima Medaglia d’Oro all’Esposizione di Firenze, replicata poi negli Expo internazionali di Londra (1862), Dublino (1865) e l’Universale di Parigi (1900). Il Diploma di Eccellenza ricevuto nel 1893 al World Columbian Exposition di Chicago aprì poi probabilmente le porte al mercato americano.
Jacob “Jack” Abraham Grohusko, head bartender del Baracca’s Restaurant a Wall Street (downtown Manahattan, NYC), nel suo famosissimo “Jack’s Manual” presentò così la ricetta del nuovo cocktail Brooklyn (ancora oggi in voga e uno dei cinque con il Bronx, il Manhattan, il Queens e lo Staten Island che celebrano la città di NYC):
- 1 dash Amer Picon bitters
- 1 dash Maraschino
- 50% rye whiskey
- 50% Ballor Vermouth
- fill glass with ice.
- Stir and strain. Serve.
Nella ricetta odierna del Brooklyn (considerato un po’ il “figlioccio del Manhattan) gli ingredienti sono rimasti pressoché gli stessi, con dosi leggermente diverse e il brand è ovviamente sparito, ma capite che la cassa di risonanza all’epoca per Freund, Ballor & C con tali attestazioni fu enorme e nel 1902 (dopo 13 Diplomi d’onore e 12 Medaglie d’oro) ricevette da Casa Savoia il titolo di “Sovrintendente del Re d’Italia“, un onore riservato a pochi.
Dopo trenta riconoscimenti mondiali, negli anni ’20 del secolo scorso la casa liquoristica iniziò una parabola discendente con passaggi di proprietà e acquisizioni che ne attestarono i prodotti su una fascia di mercato estremamente commerciale e successivamente ne compromisero in parte anche l’immagine – epico il passaggio di Filini e Fantozzi nel “Secondo tragico Fantozzi” (1976): «noi abbiamo portato la Prunella Ballor» fulminati dallo sguardo di Calboni e del cameriere durante la serata “trasgressiva” al night l’Ippopotamo in cui poi decisero di iniziare dai più consoni «tre “scottechs”» –
“Lo spirito pionieristico di Paul, Emilie ed Henry non meritava di essere così depauperato, quella visione e quel sogno reclamavano un rilancio, un rilancio di quelli veri fatto non solo di etichetta ma anche di qualità“… deve più o meno aver pensato questo la famiglia Bonollo quando recentemente ha deciso di acquisire il marchio e di rivalorizzare la produzione Ballor.
Ero davvero curioso di assaggiare i due prodotti con cui la distilleria veneta ha sancito il nuovo esordio della storica casa piemontese: il Vermouth (dedicato a Paul) e il Gin (dedicato a Emilie) e questo perché quando un’azienda così importante – esiste qualche appassionato di spirits che non conosce la linea Bonollo OF? – si muove su una tale manovra commerciale, i risultati solitamente sono due: o estremamente sorprendenti oppure, sempre estremamente, deludenti.
Se sono a scriverne su spiritoitaliano.net significa che sono rimasto convinto pienamente, sia dall’assaggio dei prodotti che dalle parole e gli sguardi Elvio Bonollo, uomo straordinario, di grande attaccamento al lavoro, uno per cui il business è importante ma la faccia ancor di più, un imprenditore di grande personalità e cortesia che trova appagamento quando legge negli occhi degli esperti il consenso per il risultato del proprio lavoro.
In pochi minuti ha saputo trasmettermi con empatia tutta la dedizione che sono certo sia stata applicata in anni di ricerca per due bevande così diverse ma da cui doveva emergere un messaggio comune, un nuovo messaggio che fosse espressione dello spirito antico di metà ottocento, che rispecchiasse quello aziendale odierno e moderno ma che non lo replicasse perché… Bonollo è Bonollo e Ballor sarà Ballor.
E il trait d’union fra Diciannovesimo e Ventunesimo secolo, Torino (o Cambiano) e Mestrino (o Conselve) è, semplicemente: l’eleganza.
Credetemi che può non bastare il know how, il Sistema Unico Bonollo, l’esperienza ultrasecolare che la famiglia (oggi quarta generazione al timone) sa mettere al servizio della produzione e del consumatore, se poi il prodotto seppur buono risulta stereotipato, senza personalità, valido per il mass marketing e poco altro.
Un rischio che ho temuto quando mi sono messo a sedere con le bottiglie sul tavolo assieme ad Elvio, perché occorre essere sinceri e professionalmente impeccabili ma non è mai semplice esprimere qualche critica seppur educatamente e rispettosa del serio lavoro altrui.
Oggi non scenderò troppo nel dettaglio tecnico e sensoriale sui due prodotti, ho prediletto la parte emozionale della genesi, innanzitutto perché non sono l’unico ad averli assaggiati (e sicuramente gli aspetti della degustazione li ritroverete stereotipati sul web da varie fonti) e poi perché (chi mi conosce lo sa) ho sempre – Dio mi assolva dal peccato – la poca umiltà di voler dare una chiave di lettura differente rispetto agli altri, qualcosa che ecciti la mente e non la lingua prima di arrivare al palato.
Sto quindi sul generico tornandoci magari un giorno specificatamente sopra ma, ovviamente, senza lasciarvi con una soluzione interpretativa nel caso in cui – e ve lo auguro – ve li trovaste un giorno al bancone.
Sono tre le varietà di assenzio usate per il Vermouth Ballor: il Romano, il Pontico e il Gentile. La preparazione della trentina di essenze, tipicamente padane, è estremamente accurata: dalla macinazione separata alla giusta frantumazione per poi passare a un’infusione a freddo molto lunga che dura circa un mese.
La cessione delle componenti aromatiche avviene in tre fasi: una prima infusione è maggiormente alcolica per estrarre prevalentemente le sostanze odorose più volatili, una seconda infusione meno alcolica serve a ottenere il gusto amaro delle erbe, la torchiatura soffice è l’ultimo passaggio per concentrare ulteriormente le essenze prima di sottoporre il liquido a decantazione per due mesi e poi formare il blend definitivo che sarà stabilizzato per un mese.
All’olfatto è avvincente l’intrecciarsi e il susseguirsi delle note erbacee con quelle di agrumi fra cui ben si assestano le ravvivanti pungenze speziate in un ventaglio sufficientemente ampio e ben svolto. All’assaggio colpisce l’estremo bilanciamento fra le componenti più dolci in entrata e quelle amaricanti sul finale che riescono a recuperare verso un’armonia tattile ben prolungata dai sapori coerenti. Eleganza quindi nel decorso gustativo con finale balsamico e alcol dosato. Un 18% ottimamente inserito nel corpo di un vino aromatizzato che ancor oggi, nella sua rivisitazione, pare pienamente meritare quel cocktail Brooklyn da manuale del mitico Jack Grohusko.
E’ invece un viaggio sensoriale che idealmente unisce il nordovest al meridione italico quello del nuovo Gin Ballor. Dedicato a Emilie e ai suoi viaggi alla scoperta di nuove botanical, l’azienda ha sapientemente “colto la palla al balzo” e con astuzia – comprensibile e perdonabile… – si è creata l’occasione per mettere in bottiglia qualcosa di davvero sorprendente sotto ogni aspetto.
Pare che la Roussette, dopo il viaggio con Ballor, proseguì per raggiungere dei cari amici nel regno delle Due Sicilie facendo sosta nel Granducato di Toscana. Viaggi che proseguirono anche successivamente, soprattutto al sud, e che furono l’occasione per scoprire nuove essenze con cui arricchire le bevande.
Le bacche di ginepro sono italiane e l’azienda non specifica esattamente le regioni di provenienza (ma sappiamo che in questo la Toscana è solitamente molto generosa) ma certamente fa cenno all’arancia amara siciliana, al pompelmo rosa e al bergamotto calabrese che, uniti alla menta piemontese, riescono quindi a offrire un primo quadro aromatico d’insieme molto esplicativo del progetto.
Grande accuratezza nel processo di macerazione statica delle bacche in soluzione alcolica e distillazione dell’infuso in alambicco. Le note balsamiche uscite dopo il processo distillatorio vengono integrate dalla preparazione naturale delle botanical dalle note più marcatamente agrumate e mediterranee.
Ne esce un prodotto che a me è parso realmente riuscitissimo. Per niente pungente alla prima inspirazione, ti trascina in un percorso che pare svelare i suoi profumi con svolgimento dalla cadenza temporale didascalica. L’approccio è impattante di bergamotto ma senza placare i soffi balsamici che si ripetono nei secondi lasciando spazio ad altri effluvi che attraggono istintivamente il bicchiere verso la bocca.
Sulla lingua sorprende per estrema eleganza – appunto, quel trait d-union… – con coerente e deciso sviluppo aromatico ma soprattutto una pulizia di beva ineccepibile e lunghissima. 40% di alcol piacevolissimo e mai fastidioso, quasi felpato sulle papille che rimangono perfettamente pulite e appagate dal viaggio sensoriale. Gin bivalente, lo immagino eccellente in miscelazione con tonica ma il suo equilibrio si fa apprezzare anche in solitaria.
Bonollo, da azienda navigata, non si è fatta mancare per il lancio Ballor un’opportuna cornice grafica, emozionale e comunicativa con etichette che rivisitano in chiave moderna le trame e le linee dell’Art Nouveau di un secolo fa e cartoline sottobicchiere evocative dei luoghi visitati da Emilie Roussette con i suoi pensieri riprodotti sul retro.
C’è tutto per vincere l’ennesima sfida.
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