Terre di Toscana, terre di storie

Un appuntamento che riesce ancora a divertire. Nuove storie passando da Terre di Toscana 2025.


Nonostante il “Grande evento” Vinitaly offuschi tutti i precedenti, è indubbio che Terre di Toscana sia uno dei principali nuclei di valorizzazione dei vini di questa regione. Come si fa a non essere contenti di esserci? È ormai diventato uno di quegli appuntamenti che faresti di tutto pur di non perderlo!


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Trovare e ritrovarsi con conoscenti e nuovi e vecchi amici, occasione di confronto e di nuovi rapporti lavorativi e umani, sono cose che non hanno prezzo.

Alla sua XVII edizione, i numeri che questa manifestazione mette in saccoccia sono sempre strabilianti, soprattutto se comparati alla soddisfazione dei partecipanti: 2200 ingressi in soli due giorni, di cui 1100 operatori del settore, per l’esposizione di 133 aziende e più di 400 etichette in degustazione, oltre al settore ristoro. Numeri, che resterebbero sterili se non avessero il pregio di intrattenere e far divertire il pubblico.

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Anche stavolta, nessuna aspettativa è andata delusa (Torta Pistocchi inclusa, con rum e uvetta per chiudere in bellezza la giornata). Ma andiamo per ordine. Non ho usufruito del servizio navetta dalla stazione ferroviaria all’UnaHotel e ritorno, attivo anche il lunedi, perché tra i miei privilegi c’era anche quello di essere trasportata e quindi non ne ho avuto bisogno, ma l’idea è decisamente positiva.

L’organizzazione è impeccabile come sempre, così come l’assortimento gastronomico. Ma è ovvio che il punto forte della manifestazione sia la selezione delle cantine, tutte – sempre – di altissimo livello, un vero spiegamento di forze per ribadire, se fosse necessario, la qualità di Toscana e delle sue Terre.

Fare l’elenco delle degustazioni è troppo lungo e anche abbastanza superfluo. Mi limiterò alle mie personali impressioni, senza scomodare spinosi argomenti di ordine pubblico mondiale, per affrontare i quali c’è bisogno di competenza e io non sono certo all’altezza, c’è pieno di tuttologi in giro! Poche recensioni quindi, indirizzate su qualche vecchia annata e sulle particolarità che questa volta mi hanno colpito di più.

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Stupore

Cominciamo da Castello Monterinaldi: a Radda viene prodotta una bollicina da vitigno sangiovese. E fin qui non c’è nulla di nuovo. Ma in questo caso, ci racconta il responsabile del banco di assaggio, il metodo utilizzato è il Metodo Scacchi: quanti di voi lo hanno sentito nominare?

È questa la particolarità che mi ha incuriosita (e già questo è un successo), e non perdo l’occasione per parlarvene: il Metodo Scacchi si riferisce al medico fabrianese Francesco Scacchi, che nella sua opera ‘De salubri potu disertatio’ edita nel 1622 e della quale si hanno solo 5 copie al mondo – sì avete letto bene, la data è antecedente alla “scoperta” di Dom Perignon della produzione del Metodo Classico – spiega come fare quello che allora veniva considerato ‘vino piccante’, ovvero il vino con l’effervescenza ottenuta dalla naturale rifermentazione in bottiglia.

All’epoca non esisteva lo zucchero raffinato, quindi il nostro Scacchi intuì che utilizzando gli zuccheri contenuti nel mosto si poteva innescare la seconda fermentazione (quella che oggi chiamiamo liqueur de tirage), avviata appunto senza l’uso di zuccheri aggiunti ma solamente con quelli naturali dell’uva. L’autore descriveva la tecnica prevedendo la miscelazione di vino vecchio (e quindi già fermentato e senza residuo zuccherino) con uve fresche che contengono zuccheri e lieviti (la cui presenza non era però all’epoca conosciuta in quanto scoperti da Pasteur nell’800).

Si aggiungeva anche un terzo di acqua calda, probabilmente per favorire la temperatura di innesco della seconda fermentazione, e si rinchiudeva il tutto in un contenitore, presumibilmente una botte. La nuova fermentazione portava come conseguenza la desiderata anidride carbonica, il risultato era quindi un vino frizzante. Oggigiorno la produzione di questi spumanti è artigianale, sono diversi dal Metodo Classico, Metodo Charmat e Metodo Ancestrale, si distinguono per originalità sensoriale, intensità, sapidità e complessità aromatica derivanti dal vitigno e dall’area di provenienza.

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Tornando a Castello di Monterinaldi, il loro Aìre spumante ci viene raccontato dalla sommelier addetta alle degustazioni come un vino prodotto interamente in autoclave, ovvero facendo fermentare il mosto direttamente in autoclave con l’aggiunta poi dello stesso mosto come liqueur de tirage che viene completamente elaborato fino ad ottenere uno spumante brut dal dosaggio molto basso, e lì rimane per almeno 9 mesi sur lie (rimandandoci a una sorta di ‘Charmat Lungo’), per poi venire filtrato e imbottigliato.

Non sono sicura che il Metodo Scacchi sia seguito pedissequamente, ma il risultato è un rosato ramato con delicate sfumature color velo di cipolla, dal perlage fine e persistente che sprigiona la delicatezza di petali di rosa antica, cipria, zagara, piccoli fruttini rossi e mandarino, in bocca tradotti in vibrante freschezza e lieve astringenza fin quasi a raggiungere punte amaricanti che invogliano il sorso. Li ringrazio per avermi dato l’opportunità di raccontare seppur brevemente la storia di Francesco Scacchi.


Sorpresa

La medaglia alla “azienda che ancora non conoscevo e mi è piaciuta molto” va invece a Podere Terreno, ancora a Radda. Questa piccola realtà, rilevata dall’attuale proprietà solo nel 2015, produce solo tre etichette: Chianti Classico Annata, Chianti Classico Riserva e Vigna Cattiva, un merlot 100%.

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Tralascio i dettagli chiantigiani e casomai rimando il lettore al trittico (1, 2, 3) di articoli di Spiritoitaliano.net sulla Chianti Classico Collection 2025, e dico soltanto che la qualità di queste bottiglie è altissima, con un buon rapporto qualità-prezzo.

Il Chianti Classico annata viene vinificato in cemento non vetrificato, che contribuisce al colore e all’esaltazione dei profumi e dei sapori della tipicità Raddese, mentre i Riserva sostano in legni che sono nuovi nel 2017 (annata complicatissima), e che diventano già di secondo e terzo passaggio, almeno parzialmente, nelle annate successive – è infatti ora, nella contestualizzazione di oggi, che l’assaggio diventa sublimazione per chi come me è un’amante del Chianti Classico.

Non ultimo, Vigna Cattiva 2022 è merlot diverso da quello che potremmo immaginare come vino “facile e piacione”: qui la frutta scura è dolce ma la freschezza spinge il tannino sulle note intense di mirtilli, cassis e more: diventerà velluto.

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Di assaggio in assaggio

Gli altri numerosi assaggi mi hanno portato a questa piccola selezione, e mi dispiace di escluderne tanti per mancanza di spazio:

Castello di Monsanto

Ogni edizione di Terre di Toscana viene celebrata con una loro vecchia annata. Quest’anno in degustazione c’era Sangioveto Grosso Vigneto Scanni 1990 – mantiene la luminosità aranciata e l’eleganza setosa e raffinata, caratteristiche di tutti i loro prodotti, i sentori fruttati scivolano sopra note di tabacco, la freschezza non è persa, il sorso è lungo e aristocratico.

Tenuta La Massa

Essere a Panzano ma non essere parte del Consorzio del Chianti Classico. Scelta ardita è quella della solitudine, dell’isolamento dalla comunità. Eppure hanno deciso di sfruttare questo territorio ed i suoi suoli in modo alternativo, con risultati senza dubbio eccellenti. La Massa 2021 esprime potenza fruttata e tannino ancora da smussare grazie al blend composto da metà sangiovese, un quarto di cabernet sauvignon e un quarto di merlot; Carla 6 2021, cru Vigna 6, è sangiovese 100% quasi a sfidare chi osa supporre che qui non si sa vinificare il sangiovese; infine la vecchia annata La Massa 2010, anche questo con base maggioritaria di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot che grazie all’acidità e alla potenza fruttata ancora vivace porta benissimo i suoi anni.

Tenuta di Carleone

Se volete vivacità frutto colore, ovvero il cuore pulsante dell’espressione Chianti Classico, questa è l’azienda che fa per voi: Chianti Classico 2022 – frutto, freschezza e tannini dolci per un’eccellenza dal piglio contemporaneo; Il Guercio 2022 – segue tutto il processo di vinificazione in cemento, che dona vivacità al colore ed esalta la ciliegia in tutte le versioni, per arrivare al canonico grip tannico.

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Aristocrazia enoica

Doveroso innanzitutto raccontare qualcosina da Montalcino. Non semplice sceglierne alcuni fra i tanti, chi manca non s’ingrugni perché verrà il tempo anche per loro.

Talenti

Brunello di Montalcino Riserva Pian di Conte 2019, la cui acidità sa di ciliegia e il tannino, vivo ma non aggressivo, rimanda ai fiori rossi e alla viola del suo profumo. Il gusto scivola via su calore e note saline.

Tenuta Col d’Orcia

Brunello di Montalcino Poggio al Vento 2016 dal color granato vivido così come la sua acidità. Tannino grippante e scorza di arancia amara e sottobosco raggiungono il finale lungo e caldo; Brunello di Montalcino 1999 che, nonostante la veneranda età, ancora esprime freschezza e leggerezza nei sentori setosi di tabacco e nella lunga e leggiadra persistenza.

Tiezzi

Il 2019 viene espresso dal Brunello di Montalcino con Poggio Cerrino, che fa della luminosità granato con riflessi aranciati il suo forte punto di partenza e poi prosegue con profumi di tabacco e viole, succo fresco di ciliegia, lavanda e note balsamiche e di humus; Poggio Cerrino 1990, dall’alto della sua bella età, esibisce un po’ di ossidazione che però non inficia un’innata e regale eleganza.

Restando nel “cerchio” dell’aristocrazia ma uscendo dalla terra ilcinese, è d’obbligo citare…

Fattoria Selvapiana

Azienda ormai consolidata nel panorama del Chianti Rufina che con la Riserva Vigneto Erchi Terraelectae 2020 conferma i didattici sentori ferrosi dopo aver espresso profumi vivi e freschi di ciliegia ferrovia ma anche di humus e spezie, aver attraversato succo e tannino perfettamente equilibrato, fino a raggiungere il lungo finale fruttato.

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Il lucchese… perché no?!?

Ho piacere a nominare infine un paio di aziende lucchesi, perdonatemi il campanilismo ma se assaggerete i loro prodotti non ve ne pentirete.

Tenuta Lenzini

Lucca Biodinamica vede in Tenuta Lenzini uno dei suoi massimi esponenti. Particolarmente apprezzati oggi Alicante Buscé 2024, vinificato con il 30% dei raspi, che nel color amaranto dichiara giovinezza, è fruttato, intenso, succoso e tannico, esemplare nella sua semplicità lucchese; LaSyrah 2010, syrah con una piccola parcella di alicante, si direbbe varietale nel profumo di pasta di olive, gusto molto attraente e persistente.

Valle del Sole

anche loro membri di Lucca Biodinamica, quest’anno presentano un’interessante verticale di H’ama, trebbiano in purezza che percorre a ritroso il 2023, 2022 e il 2016, per un susseguirsi di piacere che aumenta man mano che si retrocede: il 2016 ha corpo intensità nel naso e in bocca, dolcezza di frutto e persistenza, acidità e sapidità che spingono il sorso all’infinito attraverso miele di acacia, idrocarburo e potpourri di fiori bianchi dolci.

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Concludo così il mio passaggio a Terre di Toscana 2025 e sono tanti quelli che, come me, non vedono l’ora che arrivi l’edizione 2026.

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foto: Luisa Tolomei
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