Terroir trentino e gusto italiano nei 4 nuovi whisky Villa de Varda. Alla prova del calice c’è InQuota: stilnovo di tendenza.
Sapete che questi sono tempi in cui non c’è spazio per l’inerzia da appagamento e l’essere riconoscibili distillatori di qualità e successo nei territori della tradizione grappaiola può non bastare a garantirsi il futuro.
[si legge, più o meno, in: 6 minuti]
Sarebbe però estremamente riduttivo pensare che ci fosse soltanto questa consapevolezza nell’ispirazione di Villa de Varda: c’è innanzitutto la grande passione, la voglia di sperimentare, di innovare, di riuscire a rendere unico e identificabile il proprio lavoro.
Della famiglia Dolzan ne avevamo raccontato qualche anno fa, li ascoltammo in video a distanza nel 2021 (con i mezzi dell’epoca…) e li visitammo pochi mesi dopo quando finalmente si riaprirono le porte nel post-covid.
Un Metodo
Villa de Varda lavora nei luoghi del Teroldego e con le sue bucce fermentate e passate in alambicco ottiene grappa territoriale che, sulla base della materia prima e del concept stilistico, può far parte della linea economicamente “entry level” oppure diventare pezzo pregiatissimo della gamma “Riserve di famiglia” finanche esclusivo quando il distillato diventa pura armonia in “Vibrazioni”, la grappa riserva monovitigno che sosta e matura per anni in piccole botti di abete rosso della Val di Fiemme, quello così tanto apprezzato da Antonio Stradivari per i suoi violini.
Tenendo a mente l’abete rosso (ci torneremo dopo) e il fatto che i Dolzan lavorano essenzialmente su materie prime della Piana rotaliana ma sanno guardare altrove in regione e anche oltre, questa metodica che punta all’eccellenza produttiva ha stimolato l’azienda a cercare strade alternative che non scalfissero la credibilità conquistata sul campo ma che, al contrario, la impreziosissero con prodotti nuovi e non banali perché (questo si capisce al volo dopo cinque minuti in distilleria) loro sono di quelli che: “le cose non si fanno tanto per fare e, se le si fanno, allora si prova a farle benissimo”.
Un modus operandi che si espleta nel cosiddetto “Metodo De Varda” con cui si “auto-pretende” che ogni cosa sia funzionale, arrivi al momento giusto e si trovi nel posto giusto.
Già qualche anno fa, Mauro mi accennò a un progetto in via di conclusione: un’ispirazione che stava diventando realtà, pensata e valutata con scrupolo e messa in atto dopo confronti e collaborazioni con esperti. Del frutto di quell’idea tratteremo proprio oggi.
Specializzarsi seriamente sulla grappa, soprattutto quando si è famiglia e si lavora con metodo artigianale, significa dare poco spazio al resto e darlo solo se si è davvero consapevoli.
L’amaro di erbe e radici “Elixir Sancti Vigilii”, in questo senso, ne è un esempio: riproposto recentemente su espressa del richiesta Decano monsignore della Cattedrale di Trento, la bevanda “ufficiale” in onore del Santo patrono recupera una storica ricetta familiare (resa addirittura testamento un secolo fa) con ingredienti studiati dal medico e botanico Pietro Andrea Mattioli nel XVI° secolo e oggi custodita nel museo “Cose di casa” in Villa de Varda.
Quella dell’amaro è semplicemente una citazione, oggi parleremo d’altro, ma è un inciso che palesa quella stessa filosofia e quella metodica applicate nella nuova realizzazione di casa De Varda.
InQuota, il whisky di montagna
InQuota è diventato realtà da pochi mesi e nasce come messaggio di tendenza che si lega saldamente al terroir: un vero whisky grain-to-glass di montagna, distillato da wash separati di orzo e segale coltivati ad alta quota usando l’acqua pura delle Dolomiti di Brenta.
L’obiettivo è chiaro ed esplicito: lontani dal lasciarsi adescare da banali e facili tentazioni “gineprine”, si è puntato allo spirito più esclusivo per valorizzare le risorse del proprio habitat e consci dell’odierno “whisky renaissance” nei salotti buoni e sui banconi dei cocktail bar internazionali.
Quattro whisky inediti sono stati così presentati al settore pochi mesi fa con due ulteriori appendici single cask “limited edition” dedicate esclusivamente agli scaffali di Eataly.
Decisione saggia, a nostro avviso, la diversificazione produttiva a partire dalla materia prima: tre dei quattro nuovi InQuota sono single malt mentre uno è un rye e non a caso.
La segale, pianta che ben resiste ai climi freddi, è un cereale molto diffuso in Trentino e quindi un motivo in più per offrire un sorso di territorio ad alto grado differenziandolo da quello più classico dell’orzo che invece ha vissuto nella cantina di Mezzolombardo le necessarie trasformazioni verso una triplice peculiarità organolettica.
Quello che estremamente colpisce è la scrupolosità con cui si è seguita ogni – ogni! – fase produttiva e la caparbietà con cui si è voluto dare uno stile completamente italiano al distillato gestendolo dalla genesi, dal seme. Non è bastato andare a individuare l’area più idonea per coltivare ma si è voluto scientemente selezionare le zone che, da tradizione, sono quelle riconosciute per dare il massimo risultato.
Si è quindi preferito l’area di Piné per la segale e la Val di Non per gli orzi antichi creando o rinsaldando sinergie con i coltivatori e con coloro che hanno a cuore la salvaguardia del territorio e delle sue specificità. Ciò non toglie che i Dolzan non possano in futuro cercare nuove materie prime nei dintorni provinciali più vocati ma, se mai sarà, sarà eventualmente una nuova storia che però, conoscendoli, sono certo non abbiano escluso.
Anche prima di arrivare in alambicco, la determinante fase della fermentazione sa di emblematico piccolo compendio al lavoro certosino. Convinti di avere “in mano” un cereale estremamente caratterizzante, si è scelto di lavorare con meticolosità già dall’ammostamento. Una fermentazione molto lenta, andata oltre la settimana per rendere co-protagonisti quei chicchi e la loro essenza, esaltandone la caratterizzazione in modo tale da non sottometterla poi a quella terziaria che, sapete bene, negli whisky è sempre canonicamente protagonista principale.
Anche nella fase di concentrazione alcolica, la personalizzazione del processo sa di consapevolezza e vero metodo innovatore. L’ispirazione è “scot” ma in fase di distillazione si è ammiccato all'”irish” prevedendo ben tre passaggi artigianali in pot still partendo dal bagnomaria iniziale e terminando con la rettifica conclusiva.
Una scelta che (lo leggerete dopo) ha pagato in termini di equilibrio e finezza. Alcuni whisky mi hanno convinto più di altri ma è indiscutibile per ognuno l’aggettivo “classy“.
La prima fase di maturazione si è svolta, per tutti, in contenitori di rovere lasciando la successiva caratterizzazione finale a legni di eterogenea essenza o passaggio: botti già usate per l’Amarone della Valpolicella oppure già utilizzate per il Passito di Pantelleria o ancora fatte con doghe di pregiato abete rosso della Val di Fiemme (e, se ricordate quanto scritto all’inizio, abbiamo così chiuso il cerchio).
Un arco temporale complessivo che – in questa First edition – per il rye è durato oltre 6 anni mentre per i SM ha superato i 40 mesi ma in locali dove l’escursione termica giorno-notte favorisce – molto più che in terra britannica – l’accelerazione di quelle trasformazioni chimiche per osmosi che la botte determina sul liquido.
Sono quattro whisky che, lo confesso, ho anelato davvero ad assaggiare (fosse stato anche con mignon) perché, lasciando stare – ma neanche troppo – la mia ingovernabile passione per l’Old fashioned, sono estremamente attratto dal movimento creatosi in questi ultimi anni e – last but not least – ero altamente incuriosito di vedere Villa de Varda in questa nuova impegnativa sfida: un esperimento che, per quanto detto finora, ha un senso profondo e – come piace a me – va ben oltre la mera valutazione sensoriale.
Come per ogni novità, ci sarà ulteriormente da sperimentare perfezionando ciò che si riterrà migliorabile oppure trovando alternative. Non c’è dubbio che i ripetuti scambi culturali con la Scozia (sia da loro che in Trentino) abbiano giovato non poco sul risultato, soprattutto in termini di raffinatezza della bevanda: un trait-d’union di eleganza incontestabile.
Quelle con Edradour Ballechin e Glenfarclas erano collaborazioni già in essere per evolvere le grappe VdV in botti dove aveva già riposato lo scotch e fanno parte di un pool di sinergie che i Dolzan hanno stretto con case e professionisti con sede nei luoghi dei distillati europei più conosciuti.
In dettaglio
Risultati altamente positivi, prova “oggettiva” ampiamente superata, su quella “soggettiva” il condizionamento sarà legato anche al gusto personale di ciascuno ma non vi è dubbio che ognuno dei quattro whisky vive di proprio carattere e identificabilità.
Non sappiamo quanto siano realmente soddisfatti Luigi Dolzan e i figli Michele e Mauro (sesta generazione) dal primo risultato di questa loro innovazione nella Piana e nello Stivale. Una cosa è certa: indipendentemente da tutto, InQuota rimarrà sicuramente un caposaldo della distillazione tridentina, una pietra miliare posta con qualità e genio da mani e menti estremamente capaci. I primi saranno, comunque e sempre, i primi.
I prodotti sono convincenti, non c’è perplessità alcuna sebbene a mio parere due si prestino particolarmente per la miscelazione e gli altri due arrivino ai sensi con maggior signorilità distintiva tali da immaginarli meglio “in solo” oppure – sebbene mi faccia un po’ prurito… – “on the rock” per quelle serate che meritano profondità, riflessione o relax totale.
L’invecchiamento in quelle botti che hanno già accolto vini in divenire (Amarone e Passito di Pantelleria) ha saputo ampliare al naso le note fruttate e in bocca, se da un lato ammansisce la verticalità alcolica, le sfuma verso percezioni in confettura. Il che rende tutto più singolare ma anche di una complessità che va saputa interpretare. Ne vedo molto più immediato un possibile apporto come base in un signature drink (magari twist on classic) di quelli fatti bene.
Sia lo whisky che sosta in botti di abete rosso che il rye risultano più lineari, più canonici e, visti i risultati, da godersi appieno e intonsi nelle loro peculiarità.
Gli assaggi
Villa de Varda Mountain rye whisky
Tanti fiori al naso: un mazzo bianco di mughetto, iris e rose adagiati su erbe aromatiche e freschi agrumi. Un lieve e fragrante avvio che poi si amplia su nitidi ricordi di strudel, caramello, miele acacia, e porridge.
In bocca si sposta più sulla frutta esotica e sulla nocciola. Entra setoso, con alcol (43,2%) che si allarga educato nella cavità orale e rimane contestualizzato sulle papille come velluto. Non infinito nei suoi aromi ma un rye davvero ben fatto e dal piacevolissimo finale retrolfattivo di anarcardo tostato, banana bread e burro salato.
RQP:
Mountain single malt whisky Dolomiti spruce cask finish
Avvio olfattivo balsamico, di frutti di bosco ma con tanto lampone, su cui staccano i riconoscimenti di aghi di pino, resina, noce moscata con lievi pungenze pepate, tanta frutta secca e intrigante crema (diciamo pure: torta della nonna) con ricordi di chinotto. Un percorso non eccessivamente ampio ma pulito, nitido e assolutamente premiante per il concept produttivo.
Un 47,6% – a soli 2,4% sotto i 50%, per intendersi… – che in bocca diverte con grande sapidità e, d’impatto, con note di toffee, mou e anice stellato. Ha un’entrata decisa, comunque elegante, altamente speziata di cannella e cardamomo che poi si distende su lunghi e piacevoli caldi ricordi di arachidi, pane bianco tostato e prugna sotto spirito regalando (anche al coup-de-nez) un distintivo congedo balsamico irresistibile. Magistrale.
RQP:
Mountain single malt whisky Passito di pantelleria cask finish
In avvio respiri i profumi del bosco, la felce, e l’humus. Un tratto olfattivo singolare che poi rientra sui più canonici di arancia bionda, bergamotto, pera abate, fiori bianchi, muschio, cola, legno di cedro con tocchi speziati.
Al sorso ha l’anima ammiccante, quasi abboccata con i suoi 43,3% all’inizio molto discreti che però veicolano spiccate percezioni di zagara, miele di arancio, croccante di nocciole e pepe bianco. La sua anima solare chiude un po’ il finale con caldi ritorni di rabarbaro.
RQP:
Mountain single malt whisky Amarone cask finish
Si apre come un mazzo di fiori rossi e più scuri fino alla violetta, poi stecco di liquirizia, muesli ai frutti di bosco, pesca gialla, gingerbread, rosmarino ed erbe aromatiche in genere con divertente corredo balsamico.
Come il precedente, si appoggia sulle papille amabilmente e i suo corpo ha i tratti accoglienti della morbidezza avvolgente. Sono 44,2% corroboranti e che non stuccano grazie alle gustose note speziate, dal chiodo di garofano al cumino, con ritorni di tarassaco, cocco, camomilla e appagante scivolo saporito di amarena e fondente al peperoncino.
RQP:
Ben oltre l’opinione di un giornalista che degusta, divulga e scrive di bevande alcoliche con deontologia onesta, rimane il valore che InQuota, da meno di un anno, rappresenta per tutto il movimento.
Su tutto c’è l’essere davvero capaci di uscire con un prodotto così evocativo e che, idealmente, riesce a esaltare la specificità trentina e nazionale attraverso contaminazioni culturali gaeliche che, varcando le Alpi, arrivano poi a coinvolgere fino all’estremo sud italico.
Se volete farvi un’idea, l’opportunità ci sarà sicuramente in questi giorni di fine novembre al Whisky festival di Milano.
Distillare, sappiatelo, è certamente un metodo ma prima ancora è maestria, stile, talento, magia o, per meglio dire (come scrisse Dioscoride Pedanio e come ripreso su una parete in cantina Villa de Varda):
Distillare è un’arte, è come imitare il sole che evapora le acque della terra e le rinvia sotto forma di pioggia, pura.
fonte: Villa de Varda – foto: Paolo Bini ©
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