Eccopinò 2025: il riscatto dell’Appennino

La dimensione del Pinot nero dell’Appennino toscano che unisce cuori e sfide. Eccopinò: quando il vino è animo sincero.


Un tempo (ma nemmeno troppo tempo fa) si parlava di Toscana vinicola della grande tradizione (il cuore, massima espressione del sangiovese) e quella cosiddetta “lato b” (della costa e, in primis, di Cabernet et son frères).

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Si è capito poi, in questi ultimi dieci anni, di una distinzione con poco senso – forse mai avuto? – tale è la tradizione e l’eterogeneità dei territori alla luce soprattutto degli sviluppi colturali-economici e dell’eno-marketing.

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courtesy: Ass. Appennino Toscano Vignaioli di Pinot Nero

Si è provato (e lo si fa ancora) a dire poi che esista una “Altra Toscana” ma: vuoi perché nella cosiddetta “classica” ognuno pare correre per sé e vuoi perché il palato, la mente, il cuore, la consapevolezza e il portafoglio degli appassionati sono cambiati – evoluti? adattati? costretti? -, pare essere giunti a uno stadio in cui ogni forma di classificazione risulta quasi obsoleta visto il contesto sociale e del commercio.

Metteteci poi la costante stigmatizzazione della nocività dell’alcol, delle politiche asfissianti, delle autorizzazioni per nuove bibite al gusto uva e della solita regola del branco per cui “pesce grande mangia pesce piccolo”… ecco così che i veri cultori del vino (la bevanda dei tempi, della tradizione e della terra) combattono il disorientamento andando verso la certezza delle piccole cose, genuine, veraci ed espressive dove il “confine del piacere” da superare è dato solo dalla qualità oggettiva della bevanda e dal gusto soggettivo di chi la assaggia.

Avevamo già trattato tempo addietro di Eccopinò, l’appuntamento per conoscere i produttori dell’associazione Appennino Toscano Vignaioli di Pinot Nero e i loro vini. Torniamo a farlo dopo aver partecipato pochi giorni fa all’ottava edizione che distava tredici anni dalla prima.

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foto: PB ©

No… niente super-eventoni, grandi manifestazioni di lovers, incontri (inter)nazionali con sponsorizzazioni di eccellenza… abbiamo semplicemente voluto tornare a viverci l’essenza, consci della nostra inclinazione, della modernità del messaggio e di quanto premesso più sopra.

Un incontro che ha nuovamente messo al centro l’essere umano, con la sua mano, la sua mente e quella atavica voglia di armonizzarsi con la natura circostante. Tutti valori che hanno mosso questi vignaioli, assoluti pionieri sia di una filosofia che di una coltivazione scientemente concentrata sul pinot nero lungo la sponda di un ampio crinale montuoso che dalla Lunigiana arriva fino alla Valtiberina passando da Garfagnana, Casentino e Mugello.

Proprio in quest’ultima grande valle della provincia di Firenze, fra Scarperia e San Piero, a poca distanza dal famoso autodromo, la prima generazione di questi precursori in vigna ha incontrato la stampa di settore in locali estremamente significativi per messaggio: quelli polifunzionali dello Spazio Brizzolari dedicato al compianto e controverso artista clochard.

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foto: PB ©

C’erano 12 vini in degustazione guidata dall’ottimo Fabio Pracchia ma, come ci aspettavamo, oltre il calice sono stati i concetti espressi a voce dai vignaioli a portare quel quid che ha dato senso e poesia al tutto.

Elencheremo semplicemente il nome di ogni etichetta evitando di scendere in recensioni senza logica perché qui la logica stava nel racconto di chi le ha concepite, da coloro che rappresentano la genesi di un progetto, che si uniscono sotto un manifesto di intenti – lo riportiamo a fondo pagina – e che in pochi anni sono già arrivati lontano pur sapendo che la strada dell’affermazione definitiva è ancora lunga e insidiosa.

Le insidie arrivano dal mercato (difficile tenere la competitività pecuniaria) e della natura stessa nel momento in cui sono parsi tutti concordi nell’affermare che da quasi un decennio le condizioni climatiche paiono davvero mutate.

Durante le interviste sul palco dell’oste e narratore Diego Sorba ai produttori, è parso chiaro di come si punti a un nuovo “umanesimo della viticoltura“, al concetto per il quale lavorare la vigna significa vivere, interpretare e proteggere il territorio senza mai dimenticare quel concetto esistenziale e intellettualmente onesto per cui il proprio vino deve rispecchiare la propria anima e arrivare tale a chi lo assaggia e ne apprezza non solo il sapore ma l’espressione antropologica stessa.

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foto: PB ©

Essere vignaiolo dell’Appennino significa prima di tutto lottare per difendere i propri luoghi dall’abbandono e mantenerne quell’essenza vitale anche attraverso un vino da un vitigno particolarmente idoneo come il pinot nero che, nonostante ciò, rimane ostico quando si pretende di puntare alla vera eccellenza.

Interessantissimo verificare nel bicchiere i reali progressi di questa dozzina di vignaioli che lavorano attualmente il pinot nero su complessivi 14 ettari ma che, visti i risultati, stanno ampliando costantemente i propri spazi. Ai già 28 neo-impiantati potrebbero aggiungersene altri 50 di cui buona parte in Mugello e Casentino.

A questi dati, il presidente dell’Associazione Cipriano Barsanti ha voluto legare il valore storico e sociale: «Nelle nostre valli, che dal confine con la Liguria si susseguono fino ai limiti dell’Umbria, il vino ha fatto parte di un’agricoltura marginale, di sussistenza e tradizione, raramente di cospicui investimenti e pianificazioni. In questo quarto di secolo forse qualcosa è cambiato. Dopo i primi esperimenti, la coltivazione del Pinot Nero è diventata una possibilità d’impresa e di occupazione, tanto che sono nate nuove aziende e alcune già esistenti hanno esteso a questo vitigno la propria attività».

La dozzina di Eccopinò 2025

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foto: PB ©

Il percorso guidato per la stampa (che nel pomeriggio ha avuto un “supplemento” ai banchi per i professionisti del settore) ha seguito la direttrice ovest-est con questa scaletta:

  • Toscana Pinot nero IGT Melampo 2019 – Casteldelpiano (Lunigiana)
  • Toscana Pinot nero IGT Melampo 2021 – Macea (Garfagnana)
  • VSQ Metodo classico brut Primum 2018 – Fattoria di Cortevecchia (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Baccarosso 2021 – Tenuta Baccanella (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Gattaia 2020 – Terre di Giotto (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Ventisei 2019 – Il Rio (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Monteprimo 2021 – Bacco del Monte (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT 2022 – Fattoria Il Lago (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Il Borgo 2021 – Borgo Macereto (Mugello)
  • Toscana rosso IGT Pinot nero 2019 – Frascole (Mugello)
  • Toscana Pinot nero IGT Ornoir 2019 – Ornina (Casentino)
  • Toscana Pinot nero IGT Sopra 2020 – Fattoria Brena (Valtiberina)

Un complessivo ottimo risultato alla prova dei sensi. Ci siamo, non c’è dubbio, così come qualcuno pare più avanti di altri. Da non scordare che gli andamenti stagionali – in degustazione c’erano ben 5 annate diverse: dalla 2018 alla 2022 – per questi vignaioli sono determinanti (e soprattutto nel male più che nel bene).

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foto: PB ©

Lo abbiamo già scritto: c’è ancora tanto da fare – ne sono consci i produttori ancor prima di noi – ma il problema non sarà il tempo (ovunque servono almeno un paio di decenni) bensì la risposta degli appassionati che genera ulteriore motivazione. La via è sicuramente quella giusta, il Pinot nero dell’Appennino toscano ha già un ruolo riconoscibile e credibile da proseguire a comunicare e promuovere.

Come dicevamo all’inizio, siamo nell’epoca giusta, quella del ritorno all’essenza. Più l’appassionato/a è consapevole e più serve emozione invece di blasone ed è per questo che siamo convinti di un futuro positivo a patto che la comunicazione non cali, l’attenzione non cessi e rimanga saldo questo legame che porta a una “magia del Gruppo” dal linguaggio comune.

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foto: PB ©

Le opere e l’atmosfera di Spazio Brizzolari (Direttore artistico: Marco Paoli) hanno poi fatto il resto e forse hanno amplificato la nostra philia emozionale ma, infatuazione da “vetrina artistica” a parte, qui la sostanza pare davvero rispecchiare i valori comuni – li riportiamo sotto a chiusura – di quei (una volta) definiti “matti” del Pinot nero che (oggi) alzano sempre più uno sguardo fiero verso il futuro.

Manifesto dei Viticoltori

  • migliorare la qualità dei rapporti umani, tra persone che condividono la stessa passione, sotto il segno dell’amicizia, dell’impegno, dell’onestà e della convivialità
  • conoscere realtà diverse dell’Appennino toscano per aumentare la consapevolezza della propria peculiarità, effettuare scambi di esperienze, degustazioni collettive, con lo scopo di comprendere reciprocamente meglio i contorni del proprio lavoro
  • condividere la pratica o il semplice interesse per l’agricoltura biologica e biodinamica e per la tutela del territorio montano
  • mantenere aperta la possibilità di collaborare per unire i singoli sforzi nel settore promozionale e comunicativo
  • valorizzare i prodotti degli associati, ottenuti in accordo con la filosofia dell’Associazione
  • avere la possibilità di parlare con un’unica voce nei confronti delle varie amministrazioni pubbliche
  • dimostrare la vocazione del territorio montano dell’Appennino toscano per la produzione di pinot nero varietale e qualitativo
  • diffondere, nell’immaginario collettivo, la realtà appenninica toscana come territorio vocato al pinot nero
  • creare le condizioni per realizzare un percorso turistico (artistico, culturale, storico, paesaggistico) ed enogastronomico attorno alle aziende
  • organizzare regolarmente una rassegna (a rotazione nelle diverse valli montane) per promuovere i prodotti della montagna attorno al pinot nero
  • favorire la ricerca scientifica e la formazione professionale legate alla viticoltura montana.
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courtesy: Ass. Appennino Toscano Vignaioli di Pinot Nero

Non solo vignaioli, non solo semplici custodi del territorio…

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Foto: Paolo Bini ©
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