E se una bottiglia potesse cambiarci la vita? “Nel nome del vino” è il nuovo romanzo enoico-spirituale di Bernardo Coresi.


Fra gli innumerevoli testi del nostro mondo spiritoso e spirituale ne è arrivato da poco uno a cui siamo particolarmente legati.


[si legge, più o meno, in 4 minuti]

Una bottiglia potrebbe cambiarci la vita? Non è un’esagerazione poetica, né una boutade enologica da salotto, ma il filo conduttore genetico di Nel nome del vino (alla ricerca dell’invisibile), romanzo d’esordio di Bernardo Coresi, che si presenta come un diario di viaggio, ma è in realtà una ricerca profonda, umana e spirituale.

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Coresi, ormai volto noto della nostra redazione, si è spinto oltre le “Emozioni d’annata” di spiritoitaliano.net pubblicando un libro che sa fondere elementi autobiografici a quelli narrativi e divulgativi con equilibrio e naturalezza, catapultando idealmente il lettore in un viaggio per mano al protagonista.

Ettore Manfredi, ex impiegato, è un uomo svuotato dalla routine, dalla prevedibilità, dalla sensazione che la vita gli scivoli addosso senza lasciare traccia. In un momento di angoscia esistenziale, una bottiglia misteriosa (o forse la sola stessa idea) diventa il simbolo della sua svolta. Da lì inizia un percorso nel senso più pieno del termine: attraverso i territori del vino, attraverso il mondo, attraverso se stesso.

Oltre 300 pagine strutturate in 14 capitoli (più un prologo e un epilogo) che rappresentano una tappa sia geografica che interiore. Partendo dalla Toscana, si attraversano poi luoghi dove il vino non è solo tradizione ma cultura viva: Georgia, Nuova Zelanda, Argentina, California, Sudafrica, Grecia, Portogallo, Spagna, Germania, e le tre declinazioni francesi (Borgogna, Jura, Bordeaux), fino a chiudere il cerchio proprio dove tutto è iniziato. Ma il ritorno, come in ogni viaggio iniziatico, non coincide con il punto di partenza: Ettore è cambiato, e con lui il significato di quel vino che cercava.

Nel nome del vino alla ricerca dell'invisibile Spirito Italiano

Scrittura che ci è parsa intensa, suggestiva, capace di dare corpo e anima tanto ai paesaggi quanto alle bottiglie, agli aromi come ai personaggi. Ogni incontro è un’occasione di scoperta, riflessione esistenziale e descrizione sensoriale che pare evocare gli haiku in prosa.

L’autore ha voluto dar voce a ogni vino come se fosse un personaggio a sé, dotato di una sua memoria, di un suo linguaggio, di una sua filosofia. Il vino diventa quindi una metafora della vita: per essere compreso va atteso, ascoltato, rispettato. Non può essere bevuto di fretta, come non può essere vissuta con superficialità un’esistenza autentica.

C’è un’importante narrazione di luoghi e sapori (che apprezzeranno gli appassionati di vino e di viaggi inconsueti) ma c’è soprattutto una trama emotiva profonda (decisamente più spirituale e forse più intrigante) che accompagna il protagonista dalla frustrazione iniziale a una lenta e faticosa rinascita interiore. Un quadro che ci fa comprendere di come l’autore abbia assaggiato, ascoltato e vissuto mettendo tutto ciò per iscritto con l’umiltà di chi sa che nel vino, come nella vita, non si finisce mai di imparare.

Ogni capitolo contiene preziose gemme narrative e filosofiche: dalla malinconica eleganza dei Pinot noir della Borgogna alla tenacia del Tempranillo spagnolo, dalla resilienza dei vignaioli sudafricani alla purezza aromatica dei portoghesi: ogni luogo e ogni vino diventano pretesto per un confronto, un racconto, una domanda.

Un capitolo su tutti merita però una menzione speciale: quello ambientato in Georgia, vera culla della viticoltura e dove Ettore incontra John Wurdeman, simbolo della rinascita enologica georgiana. Il loro dialogo è uno dei momenti più alti del romanzo con il vino che assurge a una valenza ancestrale e mistica. L’immagine delle qvevri diventa un potente simbolo di gestazione, di tempo che lavora nel silenzio, di fiducia nella natura.

Spirito Italiano nome,vino,coresi
credits: Caio

Il romanzo rimane costantemente sui binari del rispetto dell’umano in quanto tale e della sua stessa fragilità perché Ettore, in fondo, non appare assolutamente come un eroe ma come un uomo qualunque che ha il coraggio di fermarsi e chiedersi “chi sono davvero?”. Lo fa lasciando il lavoro, rinunciando alle certezze, affrontando la paura del vuoto. Il lettore potrebbe riconoscersi in lui proprio perché è imperfetto, fragile, ma anche capace di meraviglia, di ascolto, di stupore.

Saremo forse un po’ di parte – consentitecelo – ma riteniamo Nel Nome del Vino molto più di un romanzo sul tema: è un invito alla lentezza, all’ascolto, alla profondità. Un libro da leggere con calma, magari con un calice accanto, lasciando che ogni capitolo decanti nel cuore del lettore.

È un’opera che pare non esaurirsi con l’ultima pagina, ma che continua a sedimentare, come un buon vino dimenticato in cantina e che (non a caso) bagna lo spirituale con l’alcolico, che parla al cuore e allo stomaco, alla mente e al palato.

Bernardo Coresi
credits: B. Coresi ©

Un libro che ci ricorda che ogni giorno possiamo scegliere di vivere con più consapevolezza. Che possiamo fermarci, assaggiare, guardare il mondo con occhi nuovi e che forse, in fondo, la vita è proprio come una grande bottiglia: non basta stapparla ma dobbiamo saperla versare, annusare, assaporare. E, soprattutto, condividerla.

Siamo fieri del lavoro di Bernardo Coresi. Il libro è acquistabile a questo link.

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