La genesi del Mezcal, parte prima

Excursus storico per conoscere il distillato più antico delle americhe: ¡arriba el Mezcal! – La genesi, prima parte


Lo avevate probabilmente capito un po’ di settimane fa che volevamo guardare meglio oltreoceano, verso il Messico più tradizionale, quello del folclore e dei riti. Un Paese che tende a venerare gli spiriti visibili e invisibili, quelli da bere e quelli da evocare.


[si legge, più o meno, in: 5 minuti]

Adesso ci siamo, sul serio! Dopo l’introduzione (chiamamolo pure articolo zero), finalmente… ¡arriba el Mezcal! con Mauro Bonutti: una rubrica difficile da trovare altrove. Allacciate le cinture e preparatevi al viaggio… buona lettura.

[la redazione]


Mezcal: la genesi, parte prima

Dicesi Mezcal lo spirito puramente messicano prodotto dalla distillazione del cuore cotto di varie specie di piante chiamate agave, ampiamente diffuse nella maggior parte del Messico.

Una volta messa a bagaglio di conoscenza questa “semplicistica” definizione potete ritenervi soddisfatti, perchè sicuramente ne sapete sul Mezcal più del 99% della popolazione mondiale.

Se poi ci aggiungete che è il distillato più antico di tutte le Americhe e ci ricamate qualche storia sul fatto che è sporco, cattivo e leggermente affumicato, e viene prodotto in quantità limitate in piccole fattorie locali chiamate palenques, rischiate addirittura di entrare nella hit parade degli esperti.

foto: Cristian Rojas

Ma possiamo accontentarci solamente di questo? O vogliamo invece addentrarci un minimo più a fondo per riuscire a comprendere cosa sia veramente questo straordinario distillato?

La risposta nasce spontanea, quindi facciamoci accompagnare come sempre dalla nostra amata musica, prendiamo spunto dalle parole del maestro Guccini e vediamo di partire alla scoperta del Mezcal.

La genesi (F. Guccini)


Per capire la nostra storia bisogna farsi ad un tempo remoto:
c’era un vecchio con la barba bianca, lui, la sua barba, ed il resto era vuoto.

Voi capirete che in tale frangente quel vecchio solo lassù si annoiava,
si aggiunga a questo che, inspiegabilmente, nessuno aveva la T.V. inventata…

L’inizio di tutte le nostre storie non cambia, sono pur sempre solo favole, materiale prezioso su cui un “Affabulatore alcolico” può liberamente ricamare.

Bisogna partire dal: «C’era una volta…», da quando non esisteva ancora la TV e tantomeno internet o i libri stampati, per cui tutto rimane avvolto in vaghe, misteriose nebbie, dai contorni non ben definiti e dalle interpretazioni che man mano variano nel tempo in base alle nuove scoperte che i potenti studi e ricerche attuali portano alla luce.


Il punto di partenza rimane comunque sempre l’uomo e tutto ciò che lo circonda. Il duro mestiere del vivere, i giorni che si susseguono fatti di fatica e di sopravvivenza, il complicato rapporto con ciò che non si riesce a definire e che diventa a sua volta un po’ magia e un po’ sacralità.

La scoperta dell’alcool, in tutte le sue forme, diventa allora un momento di conforto, di ristoro, ma anche di superstizione. L’alcool non viene scoperto, nasce da solo, in maniera misteriosa – o meglio: spiritata -, perché la natura da sola fornisce tutto il necessario: basta un po’ di materia zuccherina, alcuni lieviti presenti nell’aria (e identificati solo tanti e tanti anni dopo) e la trasformazione si compie.

foto: Jose Lorenzo Muñoz

Invertendo i fattori il prodotto non cambia, può variare il luogo di partenza e di conseguenza la materia prima di partenza, ma il risultato rimane lo stesso, un liquido che porta dapprima al piacere dei sensi e poi all’inebriamento totale.

Dopo tante doverose, generiche, premesse, focalizziamo l’attenzione su questa nuova storia e per prima cosa definiamo un punto di inizio, le coordinate spazio temporali da cui partire: posizioniamoci nell’anno 1500, in quella che comunemente si definisce Mesoamerica, che corrisponde, come dice il nome stesso, alla parte centrale che si restringe del continente americano, oggi identificata dal Messico e i vari piccoli stati sottostanti. A quel tempo il Territorio è dominato dagli aztechi, al culmine della loro potenza e delle loro infinite conoscenze in tutti i campi del sapere. Capitale di questo vasto impero è la sfarzosa e immensa (per i tempi) città di Tenochtitlán, corrispondente alla attuale Città del Messico, edificata sull’acqua di un grande lago, ben difesa e ricca di piazze, palazzi, canali e mercati commerciali.

A capo di tutto vi è il grande imperatore Montezuma, che riesce a tenere sotto il suo potere tutta una serie di popolazioni grazie al suo carisma e al suo prestigio, ma soprattutto grazie alla forza del suo esercito.

Per quanto invece di nostro interesse, ci basta sapere che oltre a oro e ricchezze, anche l’alcool scorre copioso, anche se confinato particolarmente a uso e consumo di nobili e sacerdoti. Ai nobili per imbonirli e mantenerli vicini e ai sacerdoti per consentirgli di uscire di testa, poter profetizzare – a favore dell’imperatore! – e poter celebrare senza scrupoli tutti i sacrifici umani che servono per assecondare i favori delle divinità. Il “popolino” ne poteva praticamente godere solo in alcuni momenti, feste comandate di devastante ubriacatura collettiva allo scopo di far dimenticare le angustie quotidiane e mantenerne la sottomissione.

Alcool che ha origini molto lontane, ben prima del nostro 1500, sotto la forma dei vari risultati della fermentazione della materia prima zuccherina maggiormente presente in loco. Basta guardarsi in giro e dappertutto si trovano grandi ciuffi di verdi foglie spinose che spuntano da un grosso bulbo interrato. Sotto varie forme e varie specie è la pianta più diffusa, e prenderà il nome di agave, o meglio ancora di maguey, come dall’antica lingua locale nauhatl.

foto: Francesco Ungaro

Tutti gli studi moderni hanno verificato che da sempre, a partire da questa pianta, le popolazioni locali hanno ottenuto tutto ciò che serviva alla sopravvivenza: cibo (zuccheri e carboidrati), fibre tessili per vestiti e calzature, spine per ricavare chiodi, aghi e ami per la pesca, residui solidi con cui costruire mattoni per le case. Praticamente come per i maiali nostrani anche per l’agave/maguey non si butta via niente. Dulcis in fundo nel tempo è risultata anche come valida componente per la medicina tradizionale.


Ovviamente la pianta ha anche avuto la sua origine e giustificazione religiosa per il tramite di Mayahuel, dea dell’agave e della fertilità, che è collegata a tutta una serie di tragiche leggende riguardo il suo contrastato amore con un altro dio che, in mezzo a gelosie e ripicche, la portarono a fare una brutta fine.

Le versioni riportate della leggenda sono discordanti ma la maggior parte concorda sul fatto che, prima di morire, la dea fu capace di partorire ben 400 figli in un colpo solo o meglio: 400 epici conigli che furono allattati contemporaneamente e identificati come lo spirito dell’agave. I conigli per la civiltà azteca hanno rappresentato i 400 diversi tipi di ubriacatura che si possono raggiungere, da quella più leggera a quella più distruttiva, da quella più festaiola a quella più triste e solitaria!

Tornando al nostro interesse principale, è bene sapere che, nel corso dei secoli, fra i tanti utilizzi dell’agave si è anche scoperto che la linfa prodotta e raccolta “nel suo interno” risultava essere una sorta di acqua zuccherata dolcissima, limpida e così invitante da essere chiamata Aguamiel: un nettare prezioso che all’epoca di Montezuma si preleva grazie a lunghe canne ed è irresistibile da bere… per la sua dolcezza e per il suo diventare in breve tempo torbido e inebriante grazie a quel processo di fermentazione alcolica ancora sconosciuto agli aztechi.

Questa bevanda, fresca, leggermente effervescente, con una gradazione alcolica intorno ai 4-8 gradi, prende nel corso del tempo il nome di Pulque e fa parte di tutte le tradizioni storiche locali tramandate fino ai giorni nostri. Tanto che ancora oggi, seppure in maniera ormai sempre più limitata, capita di trovare nelle bancarelle locali degli improbabili contenitori in plastica o argilla con tale liquido lattiginoso servito in mescita in ancor più improbabili piccoli bicchieri ricavati da piccoli gusci di noci di cocco tagliati a metà.

Di distillato non ne abbiamo parlato ancora ma è proprio in questo contesto che, più o meno a cavallo del nostro a.D. 1550, alcuni conquistadores spagnoli senza scrupoli, guidati da Hernan Cortes, arrivano a Tenochtitlan attratti dagli ori e dai tesori locali e, nel giro di pochi anni, sottomettono il popolo azteco e diventano i dominatori della regione.

L’arrivo degli spagnoli sulle coste dello Yucatan sarà anche il nostro prossimo punto di partenza da cui proseguiremo il viaggo verso l’epoca moderna.


Nel frattempo, per chi vuole osare, iniziamo la conoscenza diretta con un primo esemplare: Mezcal artesanal Los Danzantes Espadin. Procedimento artigianale, completamente manuale come da tradizione, lieviti indigeni. Capacità limitate ma non troppo, con conseguente facile distribuzione e reperibilità a livello europeo.

foto: MB ©

Prodotto dai sentori freschi, dai robusti connotati erbacei ma non invadenti, ben bilanciato, retrogusto affumicato appena accennato che amplia lo spettro aromatico. Prodotto di facile beva, adatto per iniziare ma già di ottimo livello, senza estremismi che andremo a cercare solo in un secondo tempo quando avremo cominciato a prendere più familiarità con il genere Mezcal.



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fonte: Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal
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