Sono in aumento le aziende italiane che producono “vino vegano”. In forte crescita l’esportazione verso UK e nord Europa.
Sappiamo benissimo di poter alzare un polverone alla prima presa di posizione in un senso o nell’altro.
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Ci spiace, stavolta non ci interessa schierarci. Non è il momento, non è il caso e probabilmente non aggiunge un quid così interessante per il vostro consumo e la vostra vita quotidiana.
A noi però piacerebbe tanto vedere la vostra espressione a questa domanda: “che ne pensate del vino vegano?” Eh… vero che è meglio lasciar perdere, almeno per il momento?
Comunque non possiamo non essere rimasti colpiti da ciò che riporta Giorgio dell’Orefice sull’autorevole (e fra le poche rispettatissime testate) Il Sole 24 ore.
Perché pare crescere notevolmente in Italia la produzione dei vini vegan che conquistano anche le linee di produzione dei grandi marchi.
E quindi si amplia quel concetto che da “nicchia” inizia a spaziare verso “massa“.
Ciò che, almeno in l’Europa, viene considerato “vegan” è riportato nel documento (leggi) prodotto da quelle organizzazioni facenti parte del progetto ONG Safe (Safe Food Advocacy Europe). Al di là della ricerca degli standard internazionali, l’iter verso l’ufficializzazione legislativa dei canoni vegani è ancora lontano dalla conclusione.
A maggior ragione nel vino, un prodotto già di per sé vegetale, le vie della produzione sono tortuose. Albumina e caseina, ad esempio, sono chiarificanti solitamente utilizzati in “cantine convenzionali” e sostituiti per i vegan da sostanze a base di estratti vegetali o di origine fossile.
Si sta quindi costantemente ampliando la platea di quei produttori italiani di vini vegani che insieme sono arrivati oggi a immettere sui mercati (in maggioranza quelli oltre confine) qualche milione di bottiglie.
Come riportato nell’articolo de Il Sole 24 ore, il direttore marketing di Masi (Amarone) Raffaele Boscaini, ha spiegato come l’input sia arrivato dal nord Europa oltre 10 anni fa: «Eravamo partiti dall’obiettivo di ridurre dai nostri vini gli allergeni e così abbiamo via via sostituito tutte le sostanze di origine animale. In seguito si è scoperto che potevamo proporre le nostre etichette come “Vegan friendly” e lo abbiamo fatto con un bollino ad hoc che campeggia su circa 800mila bottiglie. Questi vini piacciono anche a chi non adotta uno stile di vita vegano. Oggi sono prodotti con questa filosofia i vini toscani dell’etichetta Bell’Ovile e quelli che realizziamo in Argentina ma presto lanceremo anche un Amarone Vegan».
Per la Cantina di Aldeno (Trento), arrivare alle 10 etichette odierne (compreso Trento DOC) è stato tutto più casuale. «Circa sei anni fa il nostro presidente diventò vegano e così cominciammo a dedicare parte della produzione alla certificazione della Vegan society european certification riconosciuta anche negli Usa e nel Regno Unito. Lavoriamo con Germania e Giappone e sbarcheremo in una delle terre d’elezione dei vini vegan: la Norvegia».
Per l’azienda marchigiana Ciu Ciu di Offida ormai oltre il 70% dei propri vini è vegan grazie a nuove tecnologie di filtrazione e microfiltrazione.
Mentre, se guardiamo anche al sud, Stefano Girelli titolare delle aziende ragusane bio Santa Tresa e Cortese racconta di come sia sempre più forte la domanda del Regno Unito. «In Inghilterra il numero di vegani è quadruplicato tra il 2014 e il 2018 passando da 150mila a oltre 600mila persone e una cena su 4 è vegana. È questo il nostro principale mercato. Tuttavia abbiamo adottato l’opzione Vegan su una produzione già totalmente biologica. E ci crediamo al di là dei trend perché alla base c’è una logica di sostenibilità e di lotta al depauperamento dei terreni».
Siamo certi, moda o rigore, trend o tradizione, sostenibilità o integralismo, che il concetto dei vini vegan stia ancora vivendo una sua fase di sviluppo commerciale.
Che vi piaccia o no, occorre metterci l’occhio, il naso e la bocca.
fonte: Il Sole 24 ore
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