l’anfora del passato e del futuro


Assaggi e cultura: da “la terracotta e il vino” la convinzione che l’anfora non sia una moda passeggera.


Un buon numero di aziende partecipanti, tanti vini in assaggio ma è stato il contenuto culturale teorico a dare un ragguardevole valore aggiunto.


[si legge (più o meno) in: 4 minuti]


Un convegno che ha fornito la giusta chiave di lettura per la degustazione, un approfondimento estremamente interessante su cui riteniamo debba incentrarsi il nostro articolo, esulando stavolta dal riportare etichette o produttori selezionati.


foto: MM ©

Siamo certi che le parole di Marco Mancini saranno preziose per voi, la citazione di quanto emerso dagli studi presentati a “La terracotta e il vino” possono in questo caso accrescere il vostro sapere più del conoscere nome e caratteristiche sensoriali di un vino particolarmente buono.

Buona lettura [ndr]


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L’anfora del passato e del futuro


Nel 2011 in Armenia è stata scoperta la cantina più antica al mondo, risalente a oltre 6000 anni fa. Gli scavi hanno portato alla luce tracce di raspi e vinaccioli assieme a resti di orci in terracotta, testimoniando che già all’epoca erano utilizzati per la produzione del vino. 


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Lo scorso 4 e 5 giugno si è svolta nelle bellissime sale monumentali della Certosa di Firenze la quarta edizione de “La terracotta e il vino”, uno degli appuntamenti più importanti sul tema a livello mondiale.


Nonostante l’organizzazione abbia contato circa 500 presenze nell’arco dei due giorni, tra gli intervenuti regnava la sensazione di un’affluenza penalizzata dal ponte del 2 giugno.


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Da riscontrare inoltre la problematica legata all’assenza nelle vicinanze di un parcheggio in grado di accogliere tutte le autovetture dei partecipanti, questione risolta solo in parte facendo sostare lungo il viale di ingresso.


Oltre a quasi cinquanta aziende vitivinicole presenti con le loro etichette, la manifestazione è stata impreziosita da un convegno denso di spunti e da cui ci siamo alzati con la sensazione di esserci seriamente arricchiti.


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Il primo intervento, condotto dal wine writer Ivano Asperti, ha offerto un’interessante panoramica sui vitigni rari e antichi. Italia e Portogallo sono i primi due paesi al mondo per varietà di vitigni autoctoni, ovvero quei vitigni che restano su un determinato territorio per almeno 50 anni, eleggendolo a luogo ideale dove potersi esprimere.


Oltre al territorio c’è anche la questione dell’evoluzione del gusto, che ha portato all’insediamento di alcuni vitigni ove non erano presenti in precedenza.


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Per ragioni di spazio non posso approfondire qui l’argomento ma vi rimando alla sua pubblicazione: Ivano Asperti, Vitigni, vini rari e antichi. Le unicità dell’Italia enoica. Lucca: Cinquesensi, 2021.



L’accademico americano Paul White (ormai un ospite fisso della kermesse), ha invece raccontato di Alentejo, una regione remota del Portogallo caratterizzata da un’economia povera e un clima siccitoso. Qui da oltre 2000 anni viene portato avanti ininterrottamente uno stile del vino in anfora che si riallaccia alla tradizione romana.


Secondo White qui si vinificano dei prodotti fantastici, anche se ampiamente sottostimati dai produttori. I vini subiscono una macerazione sulle bucce in genere di circa 3 mesi, risultando meno concentrati rispetto ai corrispettivi armeni o georgiani, ma non meno longevi: campioni degli anni ’40 e ’50 si fanno ancora bere con soddisfazione.


Questo ci dimostra che i vini maturati in terracotta invecchiano altrettanto bene rispetto a quelli maturati in legno.


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Nel 2010 nella regione sono stati imbottigliati solo 700 litri, ma con la nascita della DOC “Vinho de Talha” (talha è appunto il nome del contenitore in terracotta) nel 2012 la produzione è cresciuta in maniera esponenziale, raggiungendo recentemente i 200.000 litri.


Nell’area sta prendendo piede inoltre un nuovo concetto di “Grand Cru”: ogni giara ha la propria forma ed essenza, è come se fosse un terroir a se stante e l’intera produzione di una vigna entra in una tahla, essendo qui tutti piccoli produttori.




Il terzo intervento, forse il più atteso della giornata, è a cura di un gruppo di ricerca dell’Università di Firenze che in collaborazione con la Cantina Valvirginio (il maggior produttore di Chianti al mondo) ha svolto uno studio sui parametri chimici, fisici e sensoriali di uno stesso vino da uve sangiovese, annata 2018, maturato in contenitori diversi:

  • anfora
  • cemento
  • cemento rivestito
  • inox
  • legno nuovo
  • legno usato
  • vetro

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A livello chimico-fisico il risultato, forse ovvio, è che le differenze più evidenti si hanno tra vetro e tonneau nuovo. Il cemento e l’anfora hanno risultati simili e stanno tra i due.


Aspetto forse non altrettanto ovvio è che, dopo un anno, cemento e anfora incidono sul colore del vino e nella polimerizzazione dei tannini in maniera molto simile a come si comporta il legno.


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Anche a livello sensoriale anfora e cemento grezzo stanno nel mezzo. Vanno in direzione del legno, portando il frutto a una maturazione maggiore ma allo stesso tempo preservano maggiormente le caratteristiche del vitigno, rallentando lo sviluppo di aromi terziari.


Il risultato più sorprendente è quello del vino che sosta esclusivamente in vetro con un frutto ancora molto presente nonostante l’effetto riduttivo del contenitore.


Forte delle nozioni assorbite durante il convegno, è stato molto interessante degustare i vini delle varie aziende presenti, provenienti principalmente dalla nostra penisola ma con delle benvenute presenze dal resto del mondo, tra cui Georgia e Armenia.


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Alcuni produttori offrivano la possibilità di confrontare gli stessi uvaggi nelle due varianti maturate in anfora e in legno.


In generale i risultati sono decisamente diversi, molto diretti e snelli i primi, più strutturati e sontuosi i secondi.


foto: MM ©

Ci sarebbe ancora tanto da raccontare su questa affascinante e ricca manifestazione ma mi fermo qui, tirando le mie personalissime conclusioni.


Ritengo che l’anfora non sia una moda passeggera come molti dicono, anzi in futuro il connubio tra vino e terracotta ci riserverà delle interessanti sorprese, soprattutto nell’ambito dei vitigni autoctoni. 


Marco Mancini – Spirito Italiano writing staff
“Wine offers a greater range for enjoyment and appreciation than, possibly, any other purely sensory thing” (E. Hemingway)

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Poliglotta prima per nascita e poi per scelta, Marco Mancini respira sin dalla tenera età una cultura pan-europea che lo porta all’apprendimento delle lingue e delle civiltà straniere con importanti esperienze di studio in UK, Germania e Giappone. Folgorato da una degustazione di Barolo durante il periodo di servizio civile presso Slow Food, si avventura negli studi enogastronomici fino a diventare formatore per i corsi AIS del vino e dell’olio, collaboratore per autorevoli guide e testate giornalistiche sempre prediligendo la forma scritta e la fotografia per il racconto delle sue esperienze. La sua professione è oggi incentrata su un nuovissimo progetto di consulenza tailor-made per aziende vitivinicole.