la fiaba della birra: gli egizi


C’era una volta… l’antica fiaba della birra:
il primo birrificio della storia

SPIRITO LEGGERO


Proseguiamo a ripercorrere la storia millenaria della birra, arrivata con successo fino ai giorni nostri. Il secondo capitolo ci narra degli antichi egizi e di quello che è ritenuto essere al momento il primo birrificio della storia .


Se gradite, come sempre, potete stappare subito e sorseggiare già durante la lettura della fiaba di Mauro Bonutti.

Oppure, potete sempre attendere la fine dell’articolo con un suggerimento da bere per rimanere in tema, sempre con “spirito leggero” come piace a spiritoitaliano.net.

Buona lettura! [ndr]


si legge (più o meno) in: 7 minuti


Non “tanti anni fa…” ma bensì “tanti giorni fa…” avevamo lasciato lasciato su queste pagine la nostra fiaba” in sospeso con la promessa di continuare.


D’altronde le storie da raccontare non possono finire mai, e allora mettiamo su la nostra nuova colonna sonora e ripartiamo da dove ci eravamo lasciati anche perché, a una attenta lettura, c’era rimasto qualcosa in sospeso…


The Bangles – Walk like an Egyptian

Eravamo partiti dalla notizia della scoperta del primo birrificio “professionale” della storia ma poi non ne avevamo parlato e quindi è tempo di recuperare!



Il primo birrificio della storia


Siamo in Egitto, la birra è qui un dono degli dei per allietare gli uomini in vita, per pagare il lavoro degli operai (che così avevano anche il “vitto” per sostenersi nel duro lavoro quotidiano) e per confortare i nobili nell’aldilà.


Tantissimi geroglifici ritrovati nelle piramidi indicano i vari tipi di birra che al tempo venivano letteralmente tracannati in grande quantità durante le celebrazioni funebri, specie dai sacerdoti officianti, alla ricerca della giusta “trance” e lasciati vicino ai defunti per accompagnarli nel loro nuovo lungo viaggio.


foto: Pete Linforth

Tra i vari documenti recuperati nelle necropoli troviamo ad esempio il Papiro di Prisse, che tra i vari insegnamenti morali riporta: “…non ti lascerai prendere dal dolore fino a stordirti ma troverai conforto bevendo Zythium e Curmy“, birra chiara e birra scura…


E’ all’interno di questo contesto che avviene la scoperta, nei pressi di una necropoli egiziana, di quello che risulta essere il più antico birrificio del mondo ad oggi noto, la molla che aveva dato il via alle nostre storie (o meglio alla nostra favola).


foto: mod from original by Vassil (CC0)

Un gruppo di archeologi statunitensi ed egiziani hanno infatti individuato in una necropoli nel sud dell’Egitto, nel deserto a ovest del Nilo a circa 450 km a sud del Cairo quelli che sono i resti di una antichissima “fabbrica” di birra, nella zona di Abydos.  


Particolarmente rilevante è la vastità dell’area. Una zona suddivisa in otto settori attigui, in ognuno di essi gli scavi hanno fatto riemergere una quarantina di grandi vasi di terracotta dove si ipotizza fosse immagazzinata la bevanda, prodotta in grande scala (secondo gli studiosi si superavano tranquillamente i 20.000 litri), che molto probabilmente veniva adibita a usi funebri e sacrificali.


photo: Egypt Ministry of Tourism and Antiquities © – FB Page

In ognuno di questi recipienti venivano messi i cereali e l’acqua in attesa che il sole li scaldasse e si compisse il processo della fermentazione che avrebbe poi portato al prodotto finale.


Ecco che, guardando al passato, quanto iniziato “in piccolo, in modica quantità” migliaia di anni prima, lo ritroviamo evoluto con una sua forma ben organizzata secondo le competenze architettoniche e ingegneristiche egizie note a tutti noi (le piramidi devono pur insegnarci qualcosa).


Un ampio sito di struttura complessa e completa dove sono ben organizzati e separati gli ambienti per la produzione, la conservazione e la sistemazione degli utensili necessari per la lavorazione.


photo: Egypt Ministry of Tourism and Antiquities © – FB Page


l’importanza della birra per gli egizi


Non per niente per la vita degli antichi Egizi la birra era diventata nel tempo una bevanda quotidiana e trasversale. A partire dalla loro nascita pare che venissero svezzati con una miscela di acqua, orzo, miele e, appunto, birra.


Una volta cresciuti, c’era poi una vera e propria cerimonia di iniziazione, con la consegna di una piccola anfora che doveva costituire la dose massima quotidiana di birra permessa, anfora che li seguiva fino alla morte per essere riposta nella loro tomba (ovviamente solo per chi aveva il rango di avere la sua tomba personale).



La birra era poi il salario (e sostentamento) per il lavoro degli operai (normalmente due anfore di birra al giorno) e bevanda per officiare i riti religiosi, e alla fine, come abbiamo visto, veniva inserita nelle tombe, assieme a altre bevande e cibo, allo scopo di garantire la sopravvivenza ultraterrena.


Gli Egizi infatti attribuivano a Osiride, protettore dei morti, l’invenzione della birra ed c’era quindi un collegamento diretto tra birra e immortalità, per cui i più ricchi si facevano costruire delle birrerie in miniatura per le loro tombe e man mano che si saliva nella casta sociale verso i Faraoni le dimensioni di questi siti crescevano proporzionalmente


pic: facsimile di vignetta dal Libro dei Morti di Ani (inginocchiato davanti a Osir) di James Wasserman – British Museum (PDM)

il papiro Ebers


Se la birra, grazie agli dei, diviene sinonimo di immortalità e quindi di vita, ad elevare la sua importanza ecco poi che si esaltano anche le sue virtù curative.  Così nel famoso “papiro Ebers” sono contenute, oltre a vari altri precetti, oltre 600 prescrizioni medicinali per la cura dei vari dolori e malattie, dove l’ingrediente più importante é evidentemente la birra.


Al di là delle varie traduzioni del testo, non sempre perfettamente uguali e sempre da prendere con cautela, troviamo che tantissimi rimedi, di preparazione più o meno complessa, o prevedono al loro interno il nostro nettare degli dei o lo prescrivono come accompagnamento.


pic: Jeff Dahl, (PDM)


Facendo un esempio un capitolo è dedicato alle malattie dell’apparato digerente e alla costipazione e contiene sostanzialmente le indicazioni per prepararsi nient’altro che una serie di purghe, dal semplice utilizzo di bacche di ricino da trangugiare con birra, fino ad insiemi più o meno fantasiosi di foglie, erbe, spezie e frutta e birra con un loro ben preciso dosaggio da miscelare, lasciar decantare e poi bere in quantità ben precise.


Per quanto riguarda invece i dati “tecnici”, dai testi sacri del tempio di Uruk si deduce che dovevano essere almeno quattro i tipi di birra prodotti, anche se le notizie certe parlano solo di tre tipi: la “zythum“, birra chiara (rispetto ai tempi, non certo come le “bionde” odierne), la “curmy” che doveva essere di colorazione più scura, e la scurissima “”, birra ad alta concentrazione, riservata all’esclusivo consumo del Faraone e per le cerimonie religiose.


Figure of a male beer-maker ca. 2649–2100 B.C – The Met Museum NY (PDM)

La lavorazione non poteva che essere molto simile a quella già vista dei Sumeri, con l’utilizzo diretto dei grani di cereali alle origini e il successivo utilizzo dei pani cotti spezzettati in tempi successivi, per cercare di riprodurre la più raffinata lavorazione della prestigiosa birra babilonese, la cui fama era divenuta nota.


Per aromatizzare, e renderla bevibile, si ricorreva specialmente al miele di datteri ed alla cannella, con utilizzo più limitato di salvia e rosmarino. In sostanza abbiamo a che fare con birre acide, piuttosto scure e speziate, con tutte le varianti che possono derivare dalla artigianalità della produzione e dalla qualità di queste aggiunte.


Per il momento la nostra favola si ferma qui, ma solo per il momento. Una recente notizia ci porta finalmente all’interno dei confini nazionali, con la Scoperta a Vulci, in terra Etrusca, della Tomba della Ragazza della Birra.


Ma questa è un’altra storia, un’altra favola da scoprire più avanti.



assaggiamo qualcosa…


Non facciamo quindi nessuno spoiler e, per concludere degnamente, non avendo a disposizione niente di originale dell’epoca (forse meglio, visto che i gusti sono piuttosto lontani dai nostri standard attuali), per rimanere comunque “in tema”, proviamo a dissetarci con una birra italiana che sarà si “odierna” ma il cui inquietante nome è però “La Mummia” e a dirla tutta anticipiamo che probabilmente qualcosa di un po’ inquietante se lo porta dentro!


Per capire questa birra dobbiamo trasferirci in una piccola zolla di terra posta al confine di quattro regioni: siamo nel paese di Montegioco, vicino a Tortona, provincia di Alessandria, quindi in Piemonte ma con vista su Liguria, Lombardia e Emilia Romagna.


foto: Artturi Mäntysaari

Terra votata alla produzione di importanti frutti di nicchia (Ciliegia Bella di Garbagna o la Pesca di Volpedo) e di vitigni autoctoni storici particolari come il Timorasso (un bianco in una terra di vini rossi) o il più classico Barbera. E’ qui che ha sede il Birrificio Montegioco, creatura di Riccardo Franzosi che, tra le varie cose è stato anche premiato come Birraio dell’anno 2012 (sapete cosa ne penso del concorso).


Le birre prodotte sono tante, ma ci soffermeremo su quella che la leggenda (o “la nostra favola”, tanto per restare in tema) dice essere nata per caso, o ancora meglio per errore.


foto: onkelglocke

Si narra infatti che un bel giorno, un lotto produttivo di una delle sue birre canoniche, la Runa, fosse uscito compromesso e maleodorante e quindi inutilizzabile (le voci dicono a causa di una variazione momentanea dell’acqua utilizzata dovuta a delle opere di pulizia e disinfezione dei pozzi della zona, ma nelle storie i confini sono sempre incerti e le verità velate e nascoste).


Sperando nel vecchio adagio campagnolo che “non si butta mai via niente”, ecco che venne in aiuto il suo vicino di casa e grande amico Walter Massa (il “padre” del già citato Timorasso) da cui prese in prestito una botte in cui aveva riposato la famosa barbera Bigolla.



La Mummia


Nella botte finì quel liquido malriuscito e, come nella favola, il brutto anatroccolo si trasformò in cigno: dopo oltre un anno di riposo le prove di assaggio rivelarono, in quella botte quasi dimenticata, un prodotto dal gusto sopraffino.


Il lungo affinamento aveva fatto un prodigioso lavoro di smussatura e il risultato superava ogni aspettativa, tant’è che di lì a poco la birra entrò in produzione stabile.


foto: Polina Kovaleva

La base di partenza oggi non è più una base rovinata (l’acqua ormai è tornata ai suoi standard qualitativi normali) ma un prodotto bello e buono che comunque continua rigorosamente a trascorrere un lungo periodo nelle indispensabili botti di “Bigolla” (squadra che vince non si cambia)!.


Aprendo la bottiglia e versandola nel bicchiere abbiamo a che fare con un bel prodotto fresco, dalle inconfondibili note acidule, dai sapori indubbiamente vinosi e con bouquet di agrumi che sprigiona subito nell’aria.

In bocca è piacevole, rinfrescante, complessa, distinguiamo un susseguirsi di note ora dolci, ora fruttate e con un leggero retroaroma di fiori freschi, accompagnata da un lungo senso di mineralità che non abbandona mai e che persiste piacevole a lungo.


foto: freestocks.org

Ottima da sola ma anche abbinato a formaggi non troppo saporiti, che vengono sgrassati dalla parziale vena acida o a un bel carpaccio di pesce crudo piuttosto che un bel gambero rosso fresco fresco.


E per concludere un degno racconto non possiamo dimenticare la genesi del nome, anche qui velata da un senso di nebbioso mistero.



Si dice che il famoso cigno appena sbocciato doveva essere l’ospite d’onore di una serata organizzata in un pub della zona e che a un certo punto, serviva trovarle in fretta e furia un nome perché era ormai il momento di uscire in stampa con i manifestini promozionali dell’evento.


Cosa si fa, cosa non si fa… con una birra che era stata nascosta nel buio polveroso di una cantina, chiusa come in un sarcofago, ed ecco che non poteva essere chiamata altro che la Mummia.



prendete appunto…


nazioneItalia
produttoreBirrificio Montegioco
nome birraLa Mummia
stileSour Beer Barrel Aged
formato33 cl o 75 cl
anno2017 e poi invecchiata 3 anni
valore in commercio*
reperibilità*
rapporto qualità / prezzo
in abbinamento aformaggi, gambero rosso crudo



To be continued…

Gli altri capitoli della fiaba

le origini


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Mauro Bonutti, nasce a nordest in provincia di Gorizia, proprio sui confini della guerra fredda, nei favolosi anni ’60 e si laurea nei mitici anni ’80 in Scienze dell’Informazione quando nessuno sapeva cosa fosse un PC. Si forma come affinatore di Grappe aromatizzate di ogni tipo prima di rimanere folgorato sulla via del Belgio e delle sue birre. Da vero cultore dell’informazione (purché sia fermentata o distillata), è purtroppo costretto a lavorare in ufficio per mantenersi tutti i master su ogni prodotto alcolico non sapendo più dove sistemare i vari libri sulla materia. Il vero impegno attuale è nell’ANAG tra assaggi, docenze e giurie varie, ma il primo vero amore non si scorda mai: la Birra!