
immersione in oltrepò
Il pinot nero è la grande risorsa dell’Oltrepò. Ottimi i risultati ottenuti ma c’è ancora da conoscere, da crescere e da promuovere
Per un paio di giorni io e Bianca abbiamo abbandonato i panni di enotecari-sommelier e ci siamo calati in quelli di enoturisti-appassionati in una terra bellissima e ancora troppo poco conosciuta, l’Oltrepò Pavese.
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Su invito del Consorzio a fine maggio, il trade tour “Oltrepò terra di Pinot Nero” è iniziato di mattina con due masterclass tenute da Chiara Giovoni, ambasciatrice dello Champagne ed esperta conoscitrice di spumanti Metodo classico.
L’introduzione alla due giorni è stata fatta da Carlo Veronese, direttore del Consorzio che ha raccontato un po’ di storia, aneddoti e dati dell’Oltrepò Pavese, un territorio dalla strana forma di grappolo e che, con immaginazione poetica, potrebbe sembrare proprio un grappolo di pinot nero, il vitigno massima espressione di queste zone.

In Oltrepò ci sono circa 3000 ha vitati a Pinot Nero sui 12500 totali. La produzione di Pinot Nero in Oltrepò rappresenta circa il 75% dell’intera produzione nazionale del vitigno e la Provincia di Pavia è la prima zona, per estensione in Italia e una delle zone più importanti a livello mondiale per la produzione di spumanti a base Pinot Nero con 12 milioni di bottiglie annue (di cui 1,5 milioni di spumante Metodo Classico).
Sono numeri che ci fanno capire che se la strada da percorrere in Oltrepò è quella che mira alla qualità, allora si è giusto all’inizio perché la quasi totalità della produzione (circa il 90%) riguarda vini decisamente più commerciali ed in particolare quei Pinot Nero spumante e frizzante (Charmat) che per tanti anni hanno riempito gli scaffali della GDO.

Dopo tutti questi numeri torno al racconto e torno proprio a Carlo con i suoi numerosi spunti su cui riflettere a proposito della grandissima varietà di altitudini, esposizioni e terreni che fanno dell’Oltrepò Pavese un territorio estremamente eterogeneo ma sicuramente vocato per la produzione di vino di qualità ed in particolare di Metodo Classico a base pinot nero, l’argomento della prima masterclass guidata da.
In degustazione ci sono state 6 “bollicine” rappresentative, molto diverse per stile e zona ma che hanno raccontato storie tutte appassionanti da ascoltare e da assaggiare.
- Prima etichetta: Met. Classico Martinburgo di La Travaglina (90% P.N., 10% chardonnay con affinamento 30 mesi sui lieviti). Un vino che si apre al naso con frutta bianca e fiori bianchi freschi, una leggera e piacevole nota vegetale e delle nuances di crosta di pane, In bocca è fresco ed elegante. Ottimo inizio!
- Secondo vino il Metodo Classico di Torre degli Alberi (100% P.N. con 42 mesi sui lieviti). Passiamo a profumi di frutta e fiori gialli maturi, note di agrumi quasi canditi e sentori di croissant, pasta frolla miste ad una piacevole nota salmastra. In bocca gran struttura, freschezza e sapidità, caratteristica quest’ultima che ci accompagnerà in quasi tutti i vini degustati, rossi compresi.
- Tocca al Brut Millesimato 2016 di Cà del Ge (100% P.N. con 60 mesi sui lieviti). Al naso si percepiscono fiori bianchi, sentori vegetali, leggera crosta di pane. In bocca ha grande struttura, è avvolgente, cremoso molto piacevole.
- Quarto vino assaggiato il top della cantina sociale più grande dell’Oltrepò: La Versa che prende il nome dall’omonima valle (85% P.N. 15% chardonnay con 10 anni sui lieviti). Per le note di degustazione vi rimando alla fine dell’articolo.
- Veniamo quindi al Cruasé di Pietro Torti (100% P.N. con 36 mesi sui lieviti). Tanta frutta rossa al naso, fresco e sapido in bocca.
- Ultimo vino: La Bolla Cruasé 2018 di Cantine Cavallotti (100% P.N. con 30 mesi passati in sosta sui lieviti). Al naso si percepiscono note di frutta rossa, agrumi e sentori di pasticceria ed in bocca è fresco, sapido con una leggera sensazione tannica.

La seconda masterclass sempre guidata da Chiara Giovoni si occupava della versione in rosso del nobile pinot nero.
Qui la situazione è un poco più complicata ed è apparso da subito chiaro di come non ci sia uno stile comune o una matrice di suoli e microclimi simili ma ogni produttore produce un vino che è una storia a parte.
Cloni molto diversi usati fra i produttori, metodi di vinificazione molto eterogenei e soprattutto affinamenti molto differenziati. Per semplificare possiamo comunque riconoscere due stili principali anche se con sfumature molto diverse.
Il primo include quei pinot nero che solitamente fanno vinificazioni piuttosto snelle e poco estrattive seguite da un affinamento in contenitori inerti come cemento o acciaio. Il secondo stile riguarda principalmente le versioni “riserva” che fanno vinificazioni eterogenee ma che hanno in comune l’affinamento in rovere.

Anche in questa seconda batteria i 6 Pinot Nero arrivavano da 6 diverse aziende.
- Il primo vino assaggiato il Tiamat 2021 di Cordero San Giorgio, affinato in acciaio. Il naso ci racconta tanti piccoli dolci frutti rossi, fiori rossi, e tanta balsamicità. La bocca è fine e leggera e di grande piacevolezza.
- A seguire la 2021 di Torti L’Eleganza del Vino. Al naso sentori di frutta rossa matura e note vegetali. In bocca equilibrato e di buona bevibilità.
- Terzo vino: la Riserva Niro 2019 di Finigeto, affinato in barrique nuove ed usate. Al naso si sprigionano profumi di frutta rossa matura, fiori rossi e note boisè ben amalgamate con gli altri sentori. In bocca ha corpo ed eleganza.
- Siamo passati poi ai capostipiti del Pinot Nero in Oltrepò: Conti Vistarino con il Bertone 2018, affinato 12 mesi in barrique. Il naso è un fine insieme di frutta rossa e nera matura, viola, arancia rossa, note balsamiche e boisé. In bocca ha corpo ed eleganza ed una notevole sapidità.
- Quinto vino il Noir 2018 di Tenuta Mazzolino, di chiara ispirazione borgognona. Vino affinato in piéces 12 mesi. Al naso si percepiscono profumi di frutta rossa surmatura, note balsamiche e boisé. In bocca ha corpo e persistenza.
- Infine il Frecciarossa 2018 di Giorgio Odero, affinato 12 mesi in botti da 25 hl. Al naso presenta profumi di frutta rossa e nera, arancia rossa, balsamicità ed una nota boisé appena accennata. La bocca è succosa ed elegante.

Al termine, abbiamo avuto il piacere di abbinare i vini appena degustati con dei piatti preparati dalla cucina del Ristorante Selvatico dalle abili mani di Piera Spalla Selvatico e assaggiare il prodotto tipico per eccellenza dell’Oltrepò: il Salame di Varzi DOP servito con la Schita (frittellina di acqua e farina) e un altro piatto tipico della zona: gli agnolotti pavesi che si differenziano da quelli piemontesi perché ripieni di carne stufata che viene usata anche per fare il sugo. Il matrimonio con i pinot nero più giovani è stato veramente piacevole.
Finito il – mica tanto – light lunch sono iniziate le visite alle aziende, partendo da Cà di Frara by Luca Bellani, praticamente due aziende in una!
il tour
Ca’ di Frara
Siamo a Mornico Losana in località Casa Ferrari. L’azienda è stata fondata dal bisnonno di Luca, Giovanni Bellani nel 1905 e si estende per 47 ha coltivati con tutte le principali varietà con una particolare vocazione per il Riesling Renano che ne occupa ben 8,5.
La degustazione guidata da Luca comincia subito con i due vini di “Luca Bellani”, brand dedicato ai Metodi Classici DOCG.
Partiamo col 60, un Pinot Nero in purezza che affina 60 mesi sui lieviti: fresco, pulito, diretto, minerale e di grandissima bevibilità per poi passare al 120, sempre un Pinot Nero però rosato e che matura per 120 mesi, un vino dalla bella struttura, pieno ma di grande freschezza e bevibilità.

Passiamo quindi alle bolle di Cà di Frara con Apnea, un Pinot Nero che ha la caratteristica unica di effettuare la maturazione sulle fecce per un anno nel Lago di Como a circa 14 m di profondità.
La particolarità di questo affinamento non è tanto data dalla temperatura costante ma dal fatto che le bottiglie fluttuano nell’acqua ed i lieviti non si depositano sul fondo della bottiglia ma stanno sempre in sospensione aumentando in maniera incredibile la cessione di sostanze al vino. Pensate che nonostante il breve affinamento è stato il vino con le note terziarie di pasticceria più marcate tra quelli assaggiati.

E ci siamo deliziati pure con T4, un 100% Pinot Nero affinato 82 mesi. A seguire i rossi partendo dal Pinot Nero 2021 affinato in acciaio tutto frutta rossa, viola, pepe nero e leggere note vegetali con un sorso piacevole e dalla grande bevibilità.
Sulle 3 riserve 2019 ottenute dai vigneti cru Losana, Mornico e Oliva che danno anche il nome ai vini:
- Il Mornico affascina subito con note di frutta rossa matura, fiori rossi, arancia rossa, pepe nero, note balsamiche e boisè e con una buona struttura e freschezza in bocca.
- Il Losana ha un naso forse ancora più accattivante con decise note di agrumi, eucaliptus e boisè ma con una parte gustativa meno integrata.
- L’Oliva è un vigneto totalmente diverso, più alto e con suoli prevalentemente calcarei (nei precedenti due c’èra una parte argillosa più importante). Il risultato è un vino molto profumato ma più esile in bocca.
Travaglino
Tappa successiva a Calvignano per visitare Travaglino, azienda che ha sede in un bellissimo ex Monastero medievale. La visuale dell’azienda provenendo dalle colline sovrastanti è semplicemente meravigliosa e per ammirarla in maniera perfetta potete visitare una delle famosissime panchine giganti (big bench), la terza in Oltrepò dopo Codevilla e Retorbido, posizionata proprio dall’azienda in una posizione veramente strategica.

A farci da Cicerone Cristina Cerri Comi, quinta generazione della famiglia Comi. La tenuta è veramente gigantesca: 80 ha vitati, 200 ha di bosco, 120 ha a seminativi, 12 cascine, 1 locanda e 1 borgo storico. La produzione è però incredibilmente piccola, circa 120.000 bottiglie divise tra 14 etichette. Il resto delle uve viene venduto. Il risultato è che ogni anno, anche nelle annate più difficili, l’azienda ha un pool di vigneti da cui attingere per produrre sempre il top.
Nella spaziosa ed elegante sala degustazione ci viene servito per prima la Cuvée 59 un blend di 85% Pinot Nero e 15% Chardonnay affinata 24 mesi sui lieviti. Semplice ed immediato, perfetto per cominciare la nostra degustazione.
Passiamo poi alla Gran Cuvée Extra Brut, 100% Pinot Nero affinato 36 mesi che ci dona una maggiore struttura e complessità. È la volta del Monteceresino Rosè, 100% Pinot Nero rosato e 48 mesi sui lieviti che ci apre la strada per degustare (di nuovo) il salame di Varzi. Infine il vino top dell’azienda, Il Vincenzo Comi 2016 un 100% dei migliori Pinot Nero che è stato affinato 60 mesi sui lieviti.

Passiamo ai rossi con il Pernero, il Pinot Nero affinato in acciaio, profumato e beverino. Infine il Poggio della Buttinera, la riserva affinata in tonneaux e barrique, vino di buona struttura e con ottima bevibilità.
Dopo tutti questi assaggi non è ancora finita, ci congediamo da Cristina e in pochi minuti arriviamo alla locanda Calvignano per la cena con 8 produttori ed i loro vini.
Prima dell’inizio della cena degustiamo i metodi classici, Conte Vistarino 1865 Castello di Cicognola Gian Marco e Letizia Moralli Rosè 2015, Asburgico (vino della Regione Lombardia), Cantine Cavallotti La Bolla BdN, Bosco Longhino Casto Pas Dosé, Pietro Torti Cruasé, Berté e Cordini Cuvée della Casa e Berté e Cordini Oblio.

I rossi serviti dai produttori durante la cena sono stati: Bertè e Cordini Nuval 2016, Castello di Cicognola 2020, Regione Lombardia Pinot Nero, Montelio Neos, Pietro Torti Terre Gobbe, Conti Vistarino Bertone 2018.

Dopo qualche ora di sonno… colazione veloce e pronti per la partenza verso altre quattro aziende e poi tornare a casa!
Oltrenero
La prima azienda della seconda giornata è Oltrenero, in zona Zenevredo e di proprietà del gruppo Zonin. Oltre 100 ha di vigneto per una produzione di circa 120.000 bottiglie di metodo classico.

L’azienda è veramente grande e la cantina mi colpisce per gli enormi serbatoi in acciaio usati soprattutto per la produzione dei tradizionali rossi del territorio. Gli spazi per la produzione del metodo classico sono decisamente più interessanti con una grande stanza piena di pupitre, usate fino allo scorso anno per “degorgiare” tutte le bottiglie. Da poco si sono muniti di giropalette.
Per la degustazione ci spostiamo in una bellissima villa su una collina sopra la cantina con una stupenda visuale sui vigneti aziendali.

Il primo vino assaggiato è il Brut, 100% Pinot Nero di cui un 40% affinato in legno e poi assemblato per sostare 36 mesi sui lieviti: fresco, profumato e molto piacevole. A seguire il Cruasé, una vinificazione in rosato che sosta 36 mesi sui lieviti: naso avvincente di piccoli frutti rossi, avvolgente e deciso in bocca. A seguire il Brut nature 2018 che invece ha affinato 48 mesi sui lieviti, più stuttura e potenza.

Il Direttore Paolo Tealdi ci regala quindi una piacevole sorpresa, un intruso molto gradito: la Cuvée Emme brut, un pinot meunier in purezza affinato 36 mesi sui lieviti. Molto diverso da quelli della Valle della Marna, meno rustico, più fine, snello ed elegante. Infine degustiamo il rosso aziendale, il Poggio Pelato 2018 affinato 12 mesi in botti grandi e piccole: al naso è tutto frutta rossa, arancia rossa, note balsamiche e boisé. In bocca si rivela elegante ed equilibrato con una bella bevibilità.
Giorgi
Un’azienda molto nota e molto grande a Canneto Pavese dove troviamo ad accoglierci il patron Fabiano Giorgi che ci racconta la storia dell’azienda, della sua amicizia con Gerry Scotti (produce i suoi vini) e delle prospettive future tutte puntate sul Metodo classico.

Per la visita in azienda ci lascia nelle sapienti mani del suo enologo Andrea Bonfanti che ci guida per l’enorme cantina e ci spiega tanti aspetti tecnici molto interessanti riguardo alla produzione dei loro spumanti in ogni versione (sono conosciutissimi per lo charmat).
Per la degustazione torniamo nella sala accoglienza tra foto di Gerry Scotti e tante loro etichette partendo proprio da un vino del Gerry nazionale, un blend di pinot nero e un po’ di chardonnay con un appena percepibile residuo zuccherino decisamente molto piacevole e cremoso.

Mentre ci raggiunge anche Eleonora (sorella di Fabiano e figura chiave dell’azienda) ci degustiamo il
- Giorgi 1870 brut 2018 affinato 40 mesi sui lieviti e 100% pinot nero. Mi colpisce subito per un colore intenso, tanti profumi di fiori gialli e frutta gialla, note vegetali e frutta secca. In bocca è sia fresco che sapido.
Con nostra grande gioia ci viene servita una piccola verticale del 1870 con in assaggio oltre alla 2018 anche la 2017 e la 2016.
- La ’17 più dorata al colore ed un naso su frutta gialla matura e fiori gialli secchi con una leggera nota di pasticceria; bocca strutturata e sapida.
- La ’16 invece si presenta con un colore più tenue, note di frutta gialla fresca, fiori gialli ed in bocca è molto fine, cremoso e avvolgente.

È la volta di uno dei vini più conosciuti dell’azienda, il Top Zero (100% P.N. e sui lieviti per 72 mesi): tanti fiori gialli, frutta esotica, mela, note di croissant e fette biscottate con una nota salmastra. In bocca è pieno, lungo e sapido.
Si chiude con la Riserva del Fondatore 2012, vino ottenuto da una partita di circa 2000 bt del 1870 dimenticata da una parte e riscoperta nel 2020 dopo 92 mesi sui lieviti. Note che virano sulla frutta secca, pasticceria, salmastro, miele ed una bocca di gran struttura e lunghezza.
Quaquarini
La Quaquarini Francesco si trova nel comune di Canneto Pavese (da sempre uno dei più vitati in Italia) e si estende su 60 ha per produrre circa 500.000 bottiglie. Ad accoglierci ci sono fratello e sorella, Umberto e Maria Teresa. La produzione di metodo classico è decisamente ridotta e a seconda dell’annata si aggira tra le 11.000 e le 15.000 bottiglie.

La degustazione di apre con il Classese 2015 metodo classico a base pinot nero affinato 7 anni sui lieviti: si presenta con un bel paglierino, al naso si denotano sentori freschi di frutta bianca e fiori bianchi e una spiccata nota minerale. In bocca e sia fresco che sapido ma anche cremoso ed avvolgente.

I padroni di casa ci sorprendono con una vecchia annata del Classese, la 2011, sboccato nel 2019: al naso vira sulla frutta secca, mela e decise note salmastre mentre in bocca è cremoso e avvolgente con una sensazione di pseudo dolcezza data dall’estrema polposità della frutta.

A questo punto è la volta del Cruasé 2014, un vino dai tanti piccoli frutti rossi al naso, fragoline di bosco in primis e poi piccoli fiori rossi, note balsamiche ed una bocca fresca e succosa che ne invoglia decisamente la beva.
Finiamo la degustazione col Pinot Nero Blau 2018, un vino che gioca sulla frutta rossa, i fiori e le note balsamiche al naso con grande bevibilità e succo che potremmo definire veramente un marchio aziendale.

Non ce l’ho fatta e, a costo di sembrare un po’ sfacciato, ho tentato un’ultima richiesta (avallata dal Direttore)… abbiamo così avuto il piacere di assaggiare un vino ottenuto da Ughetta di Canneto, un vitigno simbolo della zona e, badate bene, ci sarebbero talmente tante cose da dire su quest’uva che mi riservo di scrivere un breve articolo tra qualche mese. Vi dico solo che il vino è tutta frutta e pepe nero, pochissimi tannini e tanta facilità di sorso!
La Versa
Un vero e proprio colosso, la Cantina Sociale La Versa, a – appunto – Santa Maria della Versa, fu fondata nel 1905 e oggi può contare su circa 700 conferitori e 4 milioni di bottiglie prodotte.

Abbiamo la fortuna di visitare l’azienda proprio nel momento del degorgement a la glace e possiamo seguire tutte le fasi completamente automatizzate dal congelamento del collo all’etichettatura. A seguire visitiamo l’enorme e splendido caveu con più di un milione di bottiglie accatastate per la fase di maturazione sui lieviti.

Per la degustazione per primo ci viene servito il 1905, 100% P.N. affinato 36 mesi: vino decisamente profumato, elegante, sapido e persistente. Anche la versione rosé del La Versa 1905 è decisamente molto profumata e sapida, cremosa ed avvolgente.
Vero fuoriserie (scusate il gioco di parole!) il Testarossa 2016 un BdN affinato 60 mesi. Al naso è un elegante insieme di fiori bianchi, piccoli frutti rossi, note salmastre e di crosta di pane. Cremoso, fine e lungo in bocca. A seguire la Collezione 2008 (ne avevamo già parlato ad inizio articolo), 85% P.N. e 15% chardonnay vinificato in legno e affinato 10 anni sui lieviti. Un vino diverso dagli altri dove sia al naso che in bocca i richiami boisé del legno sono ben evidenti insieme alla nota minerale.

Abbiamo chiuso con il Pinot Nero 2022 affinato in acciaio, un vino semplice ma molto piacevole dove la frutta ed i fiori rossi dominano al naso e la bocca è fresca e succosa.
So benissimo che le battute di questo articolo non sono particolarmente ottimizzate per il web… ma il racconto di questa esperienza nell’Oltrepò meritava qualche paragrafo in più del lecito, lo meritava per la grande dedizione che io e Bianca abbiamo riscontrato, il potenziale ancora molto da esprimere in bottiglia e sul mercato e l’ospitalità squisita del Consorzio che giustamente spinge per far conoscere un territorio e i suoi vini attraverso gli artefici principali: i produttori.

Le mie considerazioni finali sono molto positive, il livello dei vini assaggiati è stato decisamente elevato, alcuni meravigliosi, altri buoni ma tutti interessanti.
Sicuramente è veramente alta la qualità dei Metodo Classico, in Italia (e non solo) difficilmente si trovano così tante etichette con questo rapporto qualità/prezzo. Sono innamorato dei BdN e della loro freschezza, sapidità e struttura specialmente nelle versioni con lunghi affinamenti sui lieviti.
Sulle vinificazioni in rosso il discorso è differente. Se per i Metodo classico, pur essendoci zone e approcci diversi, lo stile è comunque riconoscibile in quasi tutti i produttori, per i vini rossi l’idea (che già avevo in precedenza visto che di vini dell’Oltrepò ne avevo già assaggiati tantissimi) è che ognuno fa un Pinot Nero in base all’idea dell’azienda senza una ricerca di uniformità e di espressività di un terroir.
La Cote d’Or è diventata celeberrima per l’uguaglianza vino=terroir. Praticamente tutti i produttori fanno le stesse cose in vigna ed in cantina e la differenza la fa il vigneto. I produttori in Cote d’Or – state bene attenti! – non fanno Pinot Noir e se lo fanno è un vino di qualità medio-bassa. Fanno Pommard, Volnay, Vosne-Romanée, Gevrey-Chambertin… Questo perché il Pinot Noir difficilmente dà grandi vini, a volte dà qualcosa di buono, spesso…
Personalmente ho trovato molto interessanti le versioni più semplici e vinificate in acciaio con tanta frutta rossa al naso, fiori rossi, note balsamiche, arancia e pepe nero ed una bella freschezza e sapidità in bocca. Vini che comunque ben si sposano con l’idea dell’Oltrepò, zona di produzione da sempre dei vini rossi buoni per tutti i giorni con un buon rapporto qualità-prezzo. Nelle versioni in legno, specie in quelle più stile borgognone, viene subito spontaneo fare il paragone, un confronto che purtroppo non regge, considerando anche che la fascia di prezzo è decisamente abbastanza alta.

Ci sono alcuni vini “illuminati” ma secondo me la tipicità e soprattutto la qualità in generale non è ai livelli dei Metodo Classico. Certo siamo solo all’inizio e probabilmente i produttori potranno fare molto di meglio in futuro anche se è molto difficile trovare al mondo una zona che produca ottimi M.C. e pure ottimi vini rossi con lo stesso vitigno!
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