alla prova: g33 podernuovo


Il nuovo cru di Podernuovo a Palazzone G33 è la massima sintesi di un progetto che impressiona per ambizione e giovane entusiasmo. Può segnare il futuro.


Abbiamo spesso sentito parlare di “altra Toscana” vinicola, un termine che ormai è da ritenersi desueto visto lo sviluppo e la produzione di alto livello che la regione sa ormai offrire quasi ovunque in area collinare e pedemontana interpretando le peculiarità e le attitudini delle varietà ampelografiche.


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La conferma arriva anche da questo angolo al confine con l’Umbria e il Lazio. San Casciano dei Bagni gode della protezione climatica e panoramica del Monte Cetona, quasi equidistante in linea d’aria e incastonato fra Montepulciano, Val di Chiana, Orvieto, la Tuscia e la Val D’Orcia e con una latitudine compresa fra quella dei poco distanti laghi Trasimeno e di Bolsena.


Giungo qui per conoscere il progetto G33, la nuova etichetta di Podernuovo a Palazzone, un’azienda giovane, attiva di fatto da circa 15 anni, che però ha tutte le prerogative per segnare il futuro e diventare un nuovo riferimento per la vitivinicoltura di qualità e l’enoturismo di questi luoghi.


courtesy: Podernuovo a Palazzone

Luoghi che ben conosceva Giovanni Bulgari, nato e cresciuto a Roma ma spesso su questi itinerari in gioventù, che assieme al padre acquistò nel 2004 la tenuta ispirato dai valori della natura e del lavoro in vigna, pienamente conscio di poter trasformare la propria passione in un complesso esclusivo dove il prodotto può trovarsi al centro di bellezza paesaggistica, storia, arte e cultura.


foto PB ©

Serve doverosamente un preambolo prima di parlare del vino e non era preventivato. Il lavoro editoriale è importante ma quando ti rechi ad assaggiare qualcosa di nuovo non sai mai se ti piacerà, se servirà raccontarlo ai lettori o lasciar perdere, se ti limiterai alla mera recensione o se, come in questo caso, sarà necessario trasmettere quelle informazioni che devono forzatamente elevare il concept e/o il lavoro di chi lo ha concepito… e ne sei convinto.



Correva l’anno 2007 quando furono impiantate le prime barbatelle a Podernuovo, il 2009 quando l’acino si trasformò in vero succo alcolico per la prima volta. Siamo ancora in fase di studio ed evolutiva ma oggi gli ettari vitati sono diventati 21 (28 se aggiungiamo i 7 a grechetto e chardonnay posseduti a Corbara) e il lavoro ha portato negli anni ottimi risultati in gusto e caratterizzazione grazie all’incontro con l’enologo Stefano Piccio.


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Piccio sta passando la mano al giovane Jacopo Felici in un avvicendamento concordato e naturale verso una ancor maggiore ricerca del legame clima-vite-pedoclima, per dirlo con una parola sola: unicità.


G33 nasce con questo spirito, a sintesi delle massime potenzialità esprimibili dalle varie parcelle. Un blend equidistribuito di sangiovese, merlot e petit verdot che nel calice dovrebbe esprimere l’essenza più eccellente da questi vigneti.


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G33 è quindi il nuovo arrivato in casa Podernuovo dopo Sotirio, Argirio, Therra e Nicoleo e si pone come esemplare rappresentativo ed esclusivo che, nella logica di Bulgari, sarà replicato solo per le annate consone.


Come diciamo sempre: inutile parlare di ciò che hai nel calice se non comprendi ciò che sta prima della mescita. E il riferimento è certamente alla metodologia ma soprattutto riguarda la filosofia e non tanto quella produttiva ma quella del lavoro.


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Lo spirito, il senso di appartenenza, la convinzione di far parte realmente di una vera squadra è il propellente che determina poi quel plus, il cum laude del valore assoluto.



Giovanni Bulgari mi appare come leader vero e imprenditore illuminato. Un uomo di estrema cultura coltivata in maniera classica ma resa soprattutto solida dall’esperienza nei rapporti interpersonali, il continuo relazionarsi con la gente, quell’approccio alla vita che pare essere stato replicato in questa tenuta dove c’è ancora molto da fare ma molto è stato fatto con il confronto e l’entusiasmo di chi si sente partecipe di un progetto ambizioso e giovane.


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Non pochi investimenti hanno accompagnato la produzione in questi tre lustri, partendo dalla vigna e arrivando ai locali di imbottigliamento, ma servirà ancora tempo per chiudere il disegno originario e arrivare magari a essere il baluardo enoturistico dell’estremità toscana sudorientale.


La cantina ammalia per bellezza e concept artistico. La struttura architettonica esterna si fa proteggere dalla natura circostante in perfetta armonia. Colori che ricordano il terra di Siena la rendono oggi indiscutibilmente integrata con i declivi della collina anche agli occhi di chi – ne siamo certi – in paese storceva il naso durante la sua costruzione.


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I temi tanto cari in questi anni della sostenibilità, dell’energia e del rispetto dell’ecosistema, vengono qui affrontati con gli impianti fotovoltaico e geotermico che consentono una quasi totale autosufficienza anche attraverso l’accurato controllo delle emissioni.


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Terrazze panoramiche all’esterno e locali interni ben distribuiti e aromatizzati dalle essenze lignee delle botti in rovere usate per la maturazione e il riposo del vino in divenire. Tini in acciaio, contenitori medio-grandi di forma tronco-conica e barrique distese in ambienti estremamente ordinati e limpidi.


Il lavoro del noto architetto Massimo Alvisi, terminato nel 2012, tende a includere e armonizzare ogni oggetto custodito in questo ambiente sul quale si stacca, elevata di qualche metro, la sala degustazione.


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L’assaggio


Arriviamo così davanti a questa nuova etichetta, elegante e pulita, incollata sopra a una delle 1620 bottiglie numerate e contenenti il Toscana rosso IGT G33 2018.


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La curiosità è tanta, per svariati motivi. Dapprima (già ampiamente spiegato): valutare attraverso un vino emblematico le potenzialità produttive di un’azienda intera. Due: comprendere poi quanto un territorio circoscritto – che storicamente non ha mai brillato su atti, manoscritti antichi e guide nostrane – riesca, con la mano dell’uomo, a sfruttare le proprie peculiarità in un’epoca di cambiamento climatico da cui potrebbe trarne grande beneficio. Tre: esaminare qualitativamente il vino e cercare di intendere la strada enologica del futuro aziendale. Quattro: sommato il tutto, intuire come e cosa potrà diventare Podernuovo a Palazzone fra altri tre lustri.



G33, come dicevamo, arriva in bottiglia dopo una lunga e dettagliata valutazione dei principali fattori condizionanti la qualità in vigna.


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Sui 21 ettari tutti coltivati a bacca nera, si è andati a selezionare 3 appezzamenti con suoli eterogenei, su cui maturano 3 uve geneticamente differenti al netto di un clima influenzato dal Monte Cetona che agisce con azione protettiva e favorisce macro-escursioni termiche giorno-notte.


Un terreno prevalentemente argilloso-limoso presenta poi prerogative diverse in ognuna delle parcelle dove le uve sono condizionate dalla terra e dall’esposizione.


L’infografica descrive meglio di tante parole le singole peculiarità ed il perché di ogni scelta. Dai 390 metri delle vigne di sangiovese esposte a oriente, si arriva ai 350 m del merlot passando per i 360 m, quota a cui crescono le viti di petit verdot su scheletro ciottoloso e strato maggiormente sabbioso rispetto agli altri.



Le parole chiave da interpretare nel calice sono “freschezza” per la prima uva, “bilanciamento” per la seconda, “eleganza” per la terza. Tutto ciò con la costante ricerca di contenere sia la potenziale forza tannica di sangiovese e petit verdot che l’eccessiva morbidezza dei due vitigni di origine francese.


Inutile stare a dilungarsi sull’accuratezza che porta gli acini nei locali al chiuso e come essi vengano trasformati in mosto con l’utilizzo di macchinari all’avanguardia.


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Le fermentazioni avvengono spontaneamente e separatamente all’interno dei tini lignei tronco-conici da 15-20 hl, il riposo per circa 24 mesi in barrique di vario passaggio precede l’assemblaggio finale che dura sui 100 giorni in contenitori di cemento e poi l’affinamento in bottiglia per un anno.



Versato nel calice, il G33 appare di trama concentrata rubino con evidenti – e da noi pretese – nuance purpuree. L’esordio olfattivo è di fragola in confettura ed è l’incipit verso uno svolgimento ampio e ben sciolto. La frutta rimane in primo piano e vira su riconoscimenti di mora e piccoli frutti scuri corredati da bouquet floreale rosso da cui staccano viola e rosa rossa. Nitide note ferrose e di carne emergono da ricordi speziati dolci con profumi di cannella che si inseriscono fra terziari di cioccolato gianduja e caffè in polvere su ricordi di eucalipto.


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Al sorso appagata per densità e in retro-olfazione amplia le note odorose. L’avvio è fresco, sa di agrume e poi si espande con texture di grande pregio: tannini eleganti, percettibili ma puliti, sostengono un corpo dinamico, non banale ma neppure pesante che rilascia riconoscimenti di mirtillo, liquirizia in stecco ed erbe officinali. La parte astringente frena adesso un po’ la corsa dei sapori e incentra il finale su sensazioni di chinotto e scorza d’arancia.


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Un prodotto indubbiamente di grande espressività, da non chiamare assolutamente – e neppure pensare – Supertuscan ma semplicemente da interpretare come espressione apicale di un territorio che esula dalle denominazioni toscane note al mondo.



Tirando le somme: davvero un bel vino che stravince la prova del primo assaggio della sua prima uscita assoluta. Resta il dubbio su come il mercato recepirà il prezzo che si avvicinerà a € 150 sullo scaffale, ma al tempo stesso rimaniamo tranquilli sulla decisione: ci sono voluti oltre 10 anni per trasformare il progetto in liquido da servire… figuriamoci se non c’è stato il tempo per studiare accuratamente la fascia di prezzo in cui immettere 1620 bottiglie di G33 2018.


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Convincente davvero il contenimento delle diverse potenziali esuberanze delle tre uve: la freschezza del sangiovese, l’equilibrio polposo del merlot e, soprattutto, la nobile eleganza del petit verdot sono magistrali e anche per l’annata 2022 le promesse sono favolose.


Intrigante, esplicativa ed esplicita la degustazione infatti proposta successivamente dei 3 campioni 2022 in divenire da ogni parcella che ha reso maggiormente riconoscibile ogni peculiarità.


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Podernuovo a Palazzone è oggi anche ristorante di alta qualità culinaria – testato sul campo – e presto resort esclusivo con spa ma la capacità imprenditoriale e la qualità umana di Bulgari si respirano anche in altre iniziative e opere che guardano al sociale e alla cittadinanza.


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C’è infatti il quotidiano sostegno al lavoro della Pianoterra Onlus e un legame con gli abitanti e la loro tradizione cultural-popolare-religiosa che, ad esempio, lo hanno spinto a finanziare buona parte del restauro dello storico organo della concattedrale dei SS. Gervasio e Protasio di Città della Pieve.


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Oltre la prova superata del nuovo G33, quindi e innanzitutto, resta scolpita l’impressione di un team giovane, attivo, dinamico ed entusiasta coordinato da un leader capace, appassionato e con le idee ben chiare che vive qui la sua realizzazione sia come uomo che da imprenditore.


courtesy Podernuovo a Palazzone

Il successo progressivo è probabile, altamente probabile.




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riproduzione riservata – Foto di Paolo Bini ©

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Paolo Bini è giornalista iscritto all’Albo Pubblicisti; si è laureato in Informatica all’Università degli Studi di Firenze, città dove è nato nel 1971. L’amore per la storia, il gusto e la cultura enoica toscana lo portarono, a fine anni ʼ90, a intraprendere percorsi verso la conoscenza del vino. Oggi è sommelier professionista, degustatore ufficiale e relatore per Associazione Italiana Sommelier per cui svolge docenza ai corsi toscani e fuori regione per la formazione dei futuri sommelier AIS. Scrive e collabora per riviste generaliste e di settore, è anche chocolate taster per Compagnia del Cioccolato, assaggiatore e relatore per ANAG, l’associazione italiana vicina al mondo dei distillati. Curatore editoriale per spiritoitaliano.net.